Jonathan Demme, regista tra i più versatili di Hollywood, autore di film da Oscar come Il silenzio degli innocenti e Philadelphia, è morto a 73 anni, a New York, per un cancro all’esofago contro cui lottava da tempo. Amava il cinema e amava la musica. Tra i suoi ultimi film, la commedia Dove eravamo rimasti, con una inedita Meryl Streep cantante rock, presentato alla Mostra del cinema di Venezia due anni fa. Ha diretto nel 2016 un documentario musicale su Justin Timberlake e stava lavorando alla serie Shots Fired, di cui è riuscito a dirigere solo il primo episodio.
Il regista non aveva lasciato che la passione di una vita si stingesse dietro alla chemio e alla cartelle cliniche. E con la magrezza di un condannato, così simile al Tom Hanks del suo Philadelphia, aveva deciso di ingannare la sentenza procrastinandola, continuando nel mestiere a cui si era avvicinato ancora adolescente, a 15 anni, grazie al re dei b-movies Roger Corman.
Tom Hanks per interpretare Philadelphia perse dodici chili, vincendo il suo primo Oscar come miglior attore protagonista; per quel ruolo erano stati interpellati anche Daniel Day-Lewis, Michael Keaton e Andy Garcia.
L’album della colonna sonora ufficiale di Philadelphia è risultato l’undicesimo disco più venduto in Italia nel 1994. Il personaggio di Andrew Beckett, interpretato da Tom Hanks, è al 49º posto tra gli eroi nella lista dell’American Film Institute Top 100 Heroes and Villains.
La trama è davvero stranota: affetto da Aids Andrew, un brillante avvocato omosessuale di Philadelphia viene licenziato. Convinto di essere stato discriminato, fa causa allo studio legale in cui lavorava. “Nessuno voleva occuparsi del suo caso… finché un uomo non decise di sfidare il sistema”. Il film è uno dei primi ad affrontare la tematica dell’Aids ma tratta anche quella dell’omofobia, della morte e della discriminazione poiché racconta la storia dei soci di uno studio legale che disprezzano e discriminano, fino al licenziamento, un collega in quanto omosessuale e, per giunta, colpito da un male incurabile.
Un film che, senza esercitare un ricatto emotivo e senza eccedere sul pedale della pietà, muove inevitabilmente alla commozione, e per delle ottime ragioni.
La figura cianotica, scheletrica e spenta di Andrew rimarrà per sempre nell’immaginario cinematografico come icona della vittoria della morte sulla vita, anche se alleviata dagli affetti dei parenti, dall’amore del compagno e dalla sensibilità che la causa trova nell’opinione pubblica.
Demme aveva uno stile di regia particolare, conosciuto soprattutto per i suoi primi piani molto stretti sui protagonisti. In alcuni casi chiedeva agli attori di guardare direttamente nell’obiettivo della cinepresa, come avviene in una scena molto famosa del Silenzio degli innocenti. Demme pensava che, in questo modo, lo spettatore potesse immedesimarsi meglio nel protagonista, nelle sue sensazioni ed angosce.
Jonathan Demme ha saputo interpretare le mutazioni nel cinema americano dagli anni settanta ad oggi con grande bravura e intelligenza, calandosi ogni volta nella realtà con personalità e umanità. Ha saputo rileggere i generi con sensibilità moderna, si è dedicato al documentario con dedizione e coraggio, ha ridisegnato l’immaginario popolare arricchendolo di figure indimenticabili, sullo sfondo di un paesaggio americano vivace e inquieto, in perenne trasformazione, ma sempre vero, riconoscibile, non ancora passato sotto gli artifici del postmodernismo e, proprio per questo, Jonathan Demme sarà ricordato per sempre .