Ci sono artisti come Andy Warhol che riproducevano in serie icone pop come Marylin Monroe per esaltarne la vanità e la bellezza e poi ci sono pittori come Antonio Laccabue detto Ligabue che nella produzione seriale dei suoi autoritratti descrive il suo volto, con i segni del graduale processo di invecchiamento, ma con la costante riaffermazione della sua identità di uomo ed artista. Per capire chi sia Ligabue e cosa abbia dipinto bisogna entrare nella sua “mente”, accostato al grande artista Vincent Van Gogh con cui ha condiviso la miseria, la pazzia, le inquietudini e i continui ricoveri psichiatrici, l’ artista “contadino” salirà agli onori della cronaca soltanto nella fase finale della sua vita. A lui è dedicata una mostra monografica nella città di Napoli, allestita nella Cappella Palatina di Castel Nuovo – Maschio Angioino, fino al 28 gennaio 2018.
Prima di osservare ed ammirare la produzione pittorica di Ligabue, un interessante video “Il vero Naif” di Raffaele Andreassi del 1962 ci consente di avere un contatto diretto col suo mondo, nei boschi di Gualtieri (Reggio Emilia), sulla riva del Po, l’ artista viene ripreso durante l’ emissione di versi incomprensibili, è un modo per comunicare con gli animali, in altre sequenze lo ritroviamo all ‘ interno di un casotto in abiti femminili nell’ atto di dipingere sulla tela un autoritratto ma qualcosa lo turba, gli impedisce di continuare a stendere il colore sul quadro e nel successivo frame è all’ interno di una locanda in compagnia di una donna alla quale chiede più volte di baciarlo, nella sua instabilità mentale cerca un approccio con l’ universo femminile attraverso un contatto epidermico, fatto di baci, carezze e abbracci.
Un vero e proprio sciamano, riti propiziatori, imitazione dei versi e dei movimenti degli animali, un processo psicologico accomunato a Joseph Beuys dalla ricerca di una armonia superiore tra uomo e natura, una stesura del colore applicata sulla tela e sul proprio volto, sul proprio corpo, un atto che rievoca analogie con la body art. Sono ottanta le opere in esposizione, 52 olio su tela, 8 disegni, 7 sculture e varie incisioni, un percorso che ci mostra i tre diversi periodi di Ligabue.
Le opere del primo periodo che vanno dal 1928 al 1939 sono segnate da una evidente incertezza grafica e coloristica, soltanto alla figura centrale è conferita una certa consistenza, il resto della composizione, lo sfondo, il cielo e la vegetazione sono realizzate in maniera molto flebile. Il colore è applicato in modo tenue, soffuso, diluito con l’ acqua ragia sulle tavole grezze, un cromatismo meno corposo, verde smeraldo, blu cobalto, i bruni, il giallo di cromo sono i colori più utilizzati, i contorni dei soggetti sono sfumati, le forme non sono ben definite, sono immagini ancora statiche nello spazio, prive di movimento. E’ nella seconda fase 1939-1952 che cambia il modus operandi dell’ artista emiliano, osservando l’ opera “Tigre reale” del 1941 e “Volpe in fuga” del 1942-44, il colore è protagonista, tonalità calde, vivide e brillanti, il cromatismo è in rilievo, la sovrapposizione e l’ accostamento dei colori fanno emergere la profondità dello spazio, vi è una attenzione alla cura dei dettagli, i disegni preparatori non subiscono modifiche o ripensamenti.
In questo periodo l’ artista analizza il comportamento degli animali esaltandone l’ aggressività, la lotta per la sopravvivenza, una simbiosi col mondo della fauna a causa della sua condizione umana, per l’ ostracismo attuato nei suoi confronti per il suo aspetto fisico e per lo stato di degrado e miseria in cui è costretto a vivere. La definitiva consacrazione avverrà nell’ ultimo periodo, negli anni che vanno dal 1952 al 1962, quando la Galleria La Barcaccia di Roma nel 1961 organizzerà una personale dedicata all’ artista. Un riconoscimento che se da una parte susciterà una enorme gratificazione in Ligabue, dall’ altra avrà alcuni effetti controproducenti, infatti le pressioni della committenza, le ingenti richieste di ottenere una sua opera costringeranno l’ artista a ritmi di lavoro intensissimi, ciò comporterà un ridimensionamento dell’ aspetto qualitativo dei dipinti, infatti, verrà eliminato il disegno preparatorio, il colore verrà applicato direttamente sulla tela, di getto, questa nuova esecuzione avrà conseguenze stilistiche, una mancanza di rifinitura e un disimpegno nella realizzazione di elementi decorativi, resterà centrale l’ attenzione al soggetto in primo piano della composizione, un dipinto capace di comunicare forti emozioni e sentimenti è l’ opera “Leopardo con serpente” del 1953-55.
Una vera e propria compulsione all’ autorappresentazione sono le tele che riguardano i suoi autoritratti, stilisticamente vicino all’ Espressionismo, una produzione seriale da ricercare nella psicologia dell’ arte, i suoi disturbi mentali diventano un modello per lo studio del rapporto tra arte e malattia, arte e follia, sono dipinti introspettivi, intimi e sono la manifestazione del suo disagio, l’ arte vissuta come mezzo di difesa. Di questa incessante produzione artistica meritano particolare menzione le incisioni che rievocano la forza espressiva del grande pittore ed incisore Albrecht Durer, sono sempre gli animali e i suoi autoritratti i protagonisti, solo una la lastra di grandi dimensioni è dedicata ad un soggetto diverso, alla “Crocifissione” del 1960. A conclusione del percorso espositivo su una parete in prossimità dell’ uscita una affermazione dello stesso Ligabue recita: “Io sono un grande artista, la gente non mi comprende, ma un giorno i miei quadri costeranno tanti soldi e allora capiranno chi veramente era Antonio Ligabue”. Profetico.