Ieri, 17 agosto, alle 8:20 il Maestro Andrea Camilleri ha perso la sua battaglia. Ci ha lasciati, è morto all’ospedale Santo Spirito di Roma dove era ricoverato da un mese, aveva 93 anni.
La dipartita del “papà” del commissario Montalbano lascia un vuoto incolmabile non solo nel mondo dell’editoria e nel cuore dei lettori, ma anche in chi quei libri non li ha mai aperti, ma ha vissuto le indagini più famose d’Italia tramite la fortunata serie televisiva.
Un uomo che sapeva tenere tra le dita penna e sigaretta, colto, ironico e lungimirante. Nei giorni successivi al suo ricovero fu attaccato in maniera indelicata e di poco gusto da Vittorio Feltri che ha mostrato mancanza di rispetto ed umanità. Inutile dire che i fan dello scrittore hanno riempito i social di sdegno.
Per lui la pensione era una bestia nera e spesso ripeteva: “Se potessi, vorrei finire la mia carriera seduto in una piazza a raccontare storie e alla fine del mio cunto passare tra il pubblico con la coppola in mano”.
Che fine farà Salvo Montalbano? Lo scopriremo leggendo “Riccardino”, scritto dal Maestro tredici anni fa: “Mi era venuta un’idea su come far finire Montalbano, temendo l’Alzheimer ho preferito scriverlo subito” e custodito gelosamente in un cassetto.
“Mi piacerebbe che ci rincontrassimo, tutti quanti qui, in una sera come questa, tra cento anni”. Con queste parole e con la tradizionale voce roca, resa ancora più ferrosa dall’umido della notte, nel suggestivo Teatro greco di Siracusa, Andrea Camilleri un anno fa concludeva quell’ora e mezza di monologo dal titolo ‘Conversazione su Tiresia”. Ed è con quelle stesse parole che oggi la famiglia Camilleri e le persone a lui care, salutano e ringraziano “tutti i suoi lettori e tutti i suoi amici per avergli voluto così bene”.
Buon viaggio a te che hai fatto viaggiare e conoscere la Sicilia a milioni di lettori, ma Camilleri non è morto, la grande letteratura è immortale.
La forma dell’acqua
Il primo omicidio letterario in terra di mafia della seconda repubblica – un omicidio eccellente seguito da un altro, secondo il decorso cui hanno abituato le cronache della criminalità organizzata – ha la forma dell’acqua (“”Che fai?” gli domandai. E lui, a sua volta, mi fece una domanda. “Qual è la forma dell’acqua?”. “Ma l’acqua non ha forma!” dissi ridendo: “Piglia la forma che le viene data”). Prende la forma del recipiente che lo contiene. E la morte dell’ingegnere Luparello si spande tra gli alambicchi ritorti e i vasi inopinatamente comunicanti del comitato affaristico politico-mafioso che domina la cittadina di Vigàta, anche dopo il crollo apparente del vecchio ceto dirigente. Questa è la sua forma. Ma la sua sostanza (il colpevole, il movente, le circostanze dell’assassinio) è più antica, più resistente, forse di maggior pessimismo: più appassionante per un perfetto racconto poliziesco. L’autore del quale, Andrea Camilleri, è uno scrittore e uno sceneggiatore che pratica il giallo e l’intreccio con una facilità e una felicità d’inventiva, un’ironia e un’intelligenza di scrittura che – oltre il divertimento severo del genere giallo – appartengono all’arte del raccontare. Cioè all’ingegno paradossale di far vedere all’occhio del lettore ciò che si racconta, e di contemporaneamente stringere con la sua mente la rete delle sottili intese.
Un filo di fumo
“Nel 1980 – racconta Andrea Camilleri – Livio Garzanti volle pubblicare questo mio romanzo risolvendo le perplessità di alcuni suoi eminenti collaboratori. Mi domandò però, quasi a guardarsi le spalle, un glossario. Comprendendo le sue taciute ragioni, principiai a compilarlo di malavoglia: poi, a poco a poco ci pigliai gusto e me la scialai. Il romanzo viene ora ristampato a distanza di diciassette anni e il glossario, nel frattempo, è diventato superfluo. Se ora lo ripubblichiamo è perché la cosa sottilmente ci diverte. Lo spunto di Un filo di fumo me lo diede un volantino anonimo, trovato tra le carte di mio nonno, che metteva in guardia contro i maneggi di un commerciante di zolfi disonesto. Per il resto, nomi e situazioni sono da addebitare alla mia fantasia. Allora, quando uscì, il romanzo piacque a mia madre: lo dedico alla sua memoria”.
La paura di Montalbano
Tre racconti brevi e tre lunghi, quasi tre romanzi, compongono il libro, ennesima testimonianza del talento di Andrea Camilleri nel costruire e narrare intrecci. Ma soprattutto ennesima prova della straordinaria simpatia e umanità del suo eroe, il commissario Montalbano. Un personaggio capace di evolvere e crescere, avventura dopo avventura. Di diventare più saggio o più ribelle, più duro o più sensibile al dolore del mondo. Perché Montalbano è sì un poliziotto incorruttibile, ma prima di tutto è un uomo. Istintivo, non sempre ragionevole, capace di rimanere di “umore nivuro” un’intera giornata se c’è brutto tempo. Insomma, un uomo normale. E proprio per questo così amato.
Privo di titolo
“Privo di titolo” intreccia la storia dell’unico martire fascista siciliano del biennio rosso con la colossale beffa di Mussolinia, la città nei pressi di Caltagirone che avrebbe dovuto celebrare per sempre la gloria del Duce. In un’intervista, concessa a “La Nazione” il 17 gennaio 2002, Andrea Camilleri dichiarò: “Voglio assolutamente scrivere la storia di un eroe immaginario in un paese immaginario. Mi riferisco alla storia dell’unico martire fascista che poi ho scoperto essere stato ammazzato dai suoi per un errore. L’ambientazione ovviamente sarà quella che sarebbe dovuta divenire Mussolinia, la città che non fu mai costruita e della quale al duce, nel 1928, fu mostrato un fotomontaggio”.
Il cuoco dell’Alcyon
Il suicidio di un operaio appena licenziato e un imprenditore privo di scrupoli trovato assassinato con un colpo di pistola alla nuca. E poi c’è l’Alcyon, una goletta un po’ misteriosa, pochissimi gli uomini di equipaggio, niente passeggeri, la zona di poppa larga abbastanza per fare atterrare un elicottero. Per Montalbano a Vigàta tante gatte da pelare e il suo commissariato da difendere: qualcuno infatti sta tentando di farlo fuori… Un giallo d’azione, quasi una spy story dove si intrecciano agenti segreti, FBI e malavita locale. E un commissario irriconoscibile, che stupirà i suoi lettori.
La casina di campagna. Tre memorie e un racconto
Tre testi autobiografici e una prosa d’invenzione a ricostruire precisi ricordi d’infanzia. La memoria della casa di campagna attraverso le lunghe estati – da maggio a settembre – trascorse da Andrea Camilleri in un luogo dalle numerose stanze, dal ricco frutteto e dalla vista che si estendeva verso il mare, deposito di antiche automobili e di paramenti sacri, popolato da una vasta parentela, da accorti ingegneri, anziani poeti, topi di inaudita intelligenza. Carte pregiate, tra cui quella giapponese di sovraccopertina dal particolare impasto a richiamare la superficie di una antica parete, e la riproduzione di nove piastrelle maiolicate applicate a mano, delle quali una proveniente proprio dalla residenza estiva, rivelano, accanto ai testi, la luminosità e i colori della casa, e racconti, carta, immagini affidano ai lettori la conservazione di un luogo unico che il tempo, nella sua realtà, ha irrimediabilmente distrutto.