La storia di un conflitto: Mahābhārata, è l’opera fondamentale della letteratura induista. Il poema epico in sanscrito, elaborato nel corso di circa 8 secoli (tra il IV a.C. e il IV d.C.), con le sue oltre 100.000 strofe, rappresenta la saga più vasta della letteratura mondiale e raccoglie gli aspetti più svariati dell’esistenza umana, sia rispetto alla quotidianeità che da un punto di vista spirituale.
Il Mahābhārata racconta della grande guerra di sterminio, che dilania la grande famiglia Bharata. Da un lato ci sono i cinque fratelli Pandava contro i loro cugini Kaurava, i cento figli del cieco Re Dritarashtra. Entrambe le fazioni usano terribili armi di distruzione e alla fine vincono i Pandava, lasciando sul campo di battaglia milioni di corpi morti. Un numero spropositato per l’epoca, un terribile massacro che costringe il vecchio Re Dritarashtra e il neo eletto Yudishtira a una profonda autoanalisi e a interrogarsi sulle loro responsabilità. La domanda da porsi è se questa guerra poteva essere evitata visto che anche per lo stesso vincitore si tratta di una vittoria con il sapore della sconfitta. L’intenzione di Peter Brook e Marie-Hélène Estienne, che curano insieme l’adattamento e la regia di Battlefield, è proprio quella di parlare di ciò che accade dopo la battaglia.
La ricchezza del linguaggio dell’opera e la sua storia, consentono di portare sulla scena una vicenda, che appartiene al passato e allo stesso tempo riesce a riflettere sui duri conflitti odierni.
L’attualità 30 anni dopo:Nel 1985 il maestro inglese Peter Brook ne portò in scena una monumentale versione teatrale della durata di 9 ore, che debuttò in una cava alle porte di Avignone in occasione del Festival e che è passato alla storia: rappresentato per due anni sia in francese che in inglese, è stato in seguito adattato dallo stesso Brook per una miniserie televisiva e per il grande schermo.
Oggi, a distanza di trent’anni, il grande regista ha sentito l’esigenza di affrontare di nuovo il poema. «Non è una ripresa e neanche un’operazione nostalgica – come spiega lo stesso Brook, oggi novantenne – ma al contrario, un progetto che nasce dalla volontà di creare, nello spirito dell’oggi, una piéce molto essenziale e molto intensa, che tratta di qualcosa che ci riguarda. […] Il poema descrive la guerra che dilania una famiglia. […] alla fine, i Pandava vincono, ma nel poema si parla di “10 milioni di cadaveri” un numero incredibile per quei tempi. È una descrizione terribile, che potrebbe essere Hiroshima o la Siria di oggi. […] Quando si leggono le notizie di attualità si rimane arrabbiati, disgustati, sconvolti. Ma in Teatro si può vivere tutto ciò e rimanere fiduciosi e coraggiosi e continuare a credere che si possa affrontare la vita».
Con Battlefield, dunque, Brook fa rivivere una storia di violenza che interroga il nostro tempo e riflette i conflitti che straziano il nostro presente. Un evento teatrale unico che portando in scena l’Universale ci porta, inaspettatamente, ad aprire gli occhi di fronte alle realtà.