Ci sono uomini capaci di convogliare su di loro le forme più alte di ammirazione, a prescindere dall’abito indossato e dal ruolo rivestito. Si può essere, infatti, credenti o non credenti, si può essere cattolici o meno, ma la stima per una personalità come quella che è stata di don Peppe Diana è impossibile non poter essere totale, almeno da parte di tutti coloro che credono fortemente nella giustizia e nel bene.
Oggi, su Senza Linea, desideriamo parlare proprio di lui, in qualità di “figlio illustre”, non solo della Campania, ma di tutto il Paese e, senza esagerare o scadere nella retorica, dell’intera umanità.
Ebbene, Giuseppe Diana, nato a Casal di Principe, in provincia di Caserta, nei pressi di Aversa, si è appunto consegnato alla storia come don Peppe, il prete ucciso dalla camorra. Egli, infatti, in vita non è semplicemente stato un parroco, un professore e uno scrittore, ma si è distinto anche per l’enorme impegno civile contro la criminalità organizzata, tanto da attirare a sé l’ostilità di quella che è stata definita la camorra “imprenditrice” casalese, facente capo a Francesco Schiavone – detto Sandokan -.
Ed è stato proprio per il suo coraggio e per il suo attivismo antimafia sul territorio che il parroco è stato ucciso, nel giorno del suo onomastico del 1994, dalla mano armata degli spietati sicari della delinquenza, all’interno della sua chiesa, destando scalpore e rabbia anche a livello nazionale.
A distanza di decenni dalla sua morte, tuttavia il suo messaggio e il suo esempio non possono essere dimenticati ed è per tale motivo che desideriamo rispolverare il suo ricordo.
Tra i suoi scritti più importanti vi è la lettera “Per amore del mio popolo non tacerò” diffusa il giorno di Natale del 1991, della quale vogliamo qui riportare un piccolo estratto, proprio come misura di un insegnamento che deve essere ancora attuale.
“La Camorra oggi è una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella società campana. I camorristi impongono con la violenza, armi in pugno, regole inaccettabili: estorsioni che hanno visto le nostre zone diventare sempre più aree sussidiate, assistite senza alcuna autonoma capacità di sviluppo; tangenti al venti per cento e oltre sui lavori edili, che scoraggerebbero l’imprenditore più temerario; traffici illeciti per l’acquisto e lo spaccio delle sostanze stupefacenti il cui uso produce a schiere giovani emarginati, e manovalanza a disposizione delle organizzazioni criminali; scontri tra diverse fazioni che si abbattono come veri flagelli devastatori sulle famiglie delle nostre zone; esempi negativi per tutta la fascia adolescenziale della popolazione, veri e propri laboratori di violenza e del crimine organizzato.”
Don Peppe Diana è stato dunque quello che, a tutti gli effetti, può essere definito un eroe, meritevole di essere preso a modello da tutti, dai giovani ai meno giovani. La sua figura dovrebbe essere un faro per i tanti che dispensano buone parole dietro agli schermi e alle tastiere, senza sporcarsi sul campo, accanto alla povera gente, lì dove manca lo Stato e si annidano forme parallele di sistema malato. Il suo impegno dovrebbe servire da monito per le tante figure istituzionali – inclusi molti preti – che spesso travisano ed offendono il senso del loro incarico, prestandosi al gioco sporco del malaffare. Purtroppo, però, spesso non è così e, ancora oggi, grandi sacche di malcostume, di delinquenza e di corruzione rischiano di minare alle basi la nostra società.
Dunque, ricordare e sulla scia della memoria impegnarsi affinché le cose vadano meglio è quanto mai necessario, è un dovere che deve accomunarci tutti. Del resto, non servono enormi sforzi, anzi, per riprendere le parole del parroco: “Non c’è bisogno di essere eroi, basterebbe ritrovare il coraggio di aver paura, il coraggio di fare delle scelte, di denunciare.”
Facciamolo insieme.