Uno degli elementi che ritengo più importanti in un’opera cinematografica (ma anche più ampiamente in un qualsiasi tipo di racconto) è la naturalezza, termine che intendo come sinonimo di verosimiglianza e cioè che abbia apparenza del vero. Non va vista come una pretesa di realismo o di documentarismo, ma di credibilità: quando Superman vola in cielo deve dare un’impressione di realtà. E questa naturalezza vale per ogni aspetto del film, specialmente per i personaggi, coloro che muovono la storia e si muovono al suo interno. Esattamente come le persone, se un personaggio è sterile, grigio, non cattura la mia attenzione. Non deve essere solo uno strumento della narrazione. Voglio che abbia una apparenza di libertà, che sia lontano da ogni cliché, che lo si possa conoscere man mano che la storia avanzi e che questa conoscenza sia interessante.
A questa conclusione ci sono arrivato analizzando i personaggi femminili (o femministi) dei film. Ho avuto modo di osservare come i più solidi siano proprio quelli che assumono un’identità propria, che sia legata o meno al proprio o all’altro sesso; più persone reali che automi cinematografici. Un esempio perfetto è Quentin Tarantino, definito dalla critica un “regista femminista”, nonostante le donne nei suoi film siano soggette a violenze di ogni tipo. E la chiave penso sia proprio questa: egli non fa nessuna differenza tra uomo o donna nei suoi film – ogni personaggio è un individuo e tutti gli individui sono ugualmente e indiscriminatamente vittime della violenza. E così ho compreso uno dei punti saldi del femminismo: come un personaggio ha bisogno di una propria autonomia per essere verosimile e realista, la donna necessita uno sdoganamento dai ruoli imposti dal patriarcato al fine di una rivendicazione della propria identità come donna ed essere umano. Il femminismo non è un conflitto di sessi, non è un vizio (e definirli tali è un orrore), ma è la rivendicazione di un diritto che non dovrebbe mai essere stato messo in discussione in primo luogo.
Zucchero ‘Candito’ Kandinsky di A qualcuno piace caldo
Billy Wilder, 1959
Questo film entra anche un po’ per affetto nella classifica ma questo piccolo capolavoro, filtrato con occhi più moderni, mi ha insegnato che la tesi di questo articolo è comunque un’arma a doppio taglio: non c’è niente di male nel rappresentare un personaggio semplice. Aggiungere complessità al personaggio l’avrebbe reso forzato e pesante. Un perfetto compresso tra integrità e funzionalità narrativa. Zucchero deve essere il raggio di luce nell’oscurità e Marilyn Monroe oltre a riuscire nello scopo aggiunge anche una fortissima sensualità e determinazione al personaggio, oltre però a invaderlo con la sua personalità.
Jackie Brown di Jackie Brown
Quentin Tarantino, 1997
Jackie per me è la quintessenza della donna forte. Avrei potuto parlare di altri personaggi tarantiniani, ma lei è quella con più sfumature: non è più giovane, ma si mantiene ancora bella, vive da sola e si mantiene come assistente di volo e contrabbandiera. E’ qui che vedo la solidità del personaggio di Tarantino: non solo nelle imprese che costituiranno la trama, ma anche in ciò che non si racconta- il suo passato. Si intuisce che lei è una donna che ha vissuto molto e la sua forza è sia fisica che caratteriale. Quando il gioco si farà duro, creerà un’intricata trama di doppi giochi, rischiando il tutto per tutto, sfidando fazioni molto più pericolose e potenti di lei e dimostrerà di essere la più dura tra tutti, specialmente nella vulnerabilità.
Lisa Fremont di Rear Window
Alfred Hitchcock, 1954
Senza ombra di dubbio uno dei miei film di Hitchcock preferiti e lo è principalmente grazie al personaggio interpretato da Grace Kelly. Lisa Fremont è la classica donna hitcockiana: fredda e distaccata, ma capace di sprigionare una grande carica erotica. E’ una donna elegante, che domina la vita mondana newyorkese, intraprendente e coraggiosa. Una donna disposta a tutto pur di continuare la storia con l’uomo che ama, anche (fingere di) scendere a compromessi e cambiare la sua identità: dimostra così che amare e prendersi cura di un uomo non diminuisce il valore di una donna. La scena finale del film è una accurata rappresentazione della furbizia femminile in contrapposizione all’ingenuità maschile. Ancora non ho ben capito lei cosa mi abbia insegnato…
La Principessa Leia dell’universo Star Wars
George Lucas
Non posso continuare questa lista senza inserire l’iconico personaggio interpretato da Carrie Fisher, quasi portabandiera della figura dell’eroina nel mondo dei cult. Lei si discosta assolutamente dalla principessa delle fiabe, dall’archetipo della donzella in pericolo. Leia è una principessa, senatrice e generale; un personaggio fortemente politicizzato e tenace. Tenacia che si ritrova nella sua storia. Nel corso della sua vita la principessa ha perso tutto: non ha amici, non ha famiglia, non ha una casa e nemmeno un pianeta di appartenenza. Quello che le rimane è rabbia, voglia di riscattarsi, voglia di cambiare. E il cambiamento può venire solo sconfiggendo la macchina del terrore per eccellenza: l’Impero Galattico. Certo, non sarà sola e sarà aiutata principalmente da uomini, ma il suo contributo rimarrà fondamentale e lei svetterà sempre a testa alta tra gli eroi della Ribellione. Un personaggio a tutto tondo che ha il merito di aver abituato milioni di persone (me compreso) alla presenza sullo schermo di un personaggio femminile forte e deciso.
Clarice Starling di Il silenzio degli innocenti
Jonathan Demme,1991
In questo cult non c’è nessuna allegoria, metafora o altro: qui sullo schermo c’è una recluta del FBI, appena uscita dal college, che dovrà farsi strada in un ambiente lavorativo prettamente maschilista. Jodie Foster ci regala una maginifica interpretazione, dove molti sguardi trapelano il peso di questa lotta. La sequenza di apertura è emblematica: troviamo Clarice che si allena e dopo l’allenamento entra in un ascensore. Qui esce dall’area dedicata all’addestramento delle reclute per andare agli uffici e le poche donne che abbiamo visto scompaiono. La novella detective si trova sudata e sfatta in un ascensore circondata da uomini tirati a lucido. Una chiara rappresentazione di quanto una donna debba impegnarsi di più per avere successo. della lotta giornaliera di molte donna.
Catherine di Jules e Jim
François Truffaut, 1962
Il film è uno dei capolavori di e anche se i due protagonisti sono in teoria i due uomini e la loro amicizia, Catherine è la struttura portante del film, colei che muove la narrazione: senza lei il film non esisterebbe. Jeanne Moreau riesce a dare una delle sue migliori interpretazioni, donandoci una donna debole, eterna indecisa, ma melanconicamente bellissima, intellettuale ma sexy, una femme fatale incosapevole, libera da ogni convenzione sociale – tutto questo attraverso l’obbiettivo di Truffaut che sarà attento a non esprimere giudizi. Lei mi ha dato la lezione più grande di tutte: un personaggio femminile e femminista non deve essere per forza forte, in lotta col mondo e con gli uomini. Catherine riesce ad essere uno dei personaggi femminili più intensi, complessi e belli della storia del cinema. E ci riesce perché è il più verosimile, un perfetto compromesso tra realtà e finzione.