Bentornati ad un nuovo appuntamento con il giro d’Italia, oggi siamo nel Friuli Venezia Giulia, regione autonoma a statuto speciale composta da due regioni storico-geografiche con caratteristiche culturali diverse: il Friuli e la Venezia Giulia. Si tratta di un caso del tutto singolare tra le regioni italiane: la geografia lo ha posto al confine con due realtà etnico-linguistiche del continente europeo, quella germanica e quella slava, che qui insieme all’etnia e cultura predominante (quella latina) hanno dialogo e si sono armonizzate, ma che si sono anche scontrate, creando nei secoli molteplici diversità. Dalle fredde Alpi si giunge al mare passando per dolci colline e con un tagliere ricco di affettati di eccellenza ed un bel calice di refosco vi consiglio qualche titolo ambientato in questa regione e/o scritto da autori del luogo.
Il sogno di una cosa di Pier Paolo Pasolini
Concepito e scritto nel 1948-1949, viene pubblicato solo nel 1962. Così si trova ad essere, al tempo stesso, romanzo d’esordio e di conclusione, cartone preparatorio di una stagione narrativa e ripensamento finale sulla validità di quell’esperimento. Tre ragazzi friulani alla soglia dei vent’anni vivono la loro breve giovinezza e affrontano il mondo: la miseria delle origini, la fuga in Jugoslavia, le lotte contadine, l’emigrazione…, ma anche l’amicizia, l’amore, la solidarietà. Si comincia con l’ebbrezza di una festa, si finisce con la tristezza di una morte: “la meglio gioventù” è già conclusa.
I morti non serbano rancore di Nando Vitali
Nonostante il padre, Carlo Goretti, sia morto da ormai 15 anni, il rapporto di Lorenzo, suo figlio, con la sua memoria è ancora irrisolto e molto tormentato. Lorenzo comincia così a ripercorrere la vita di questo eroico padre, capitano insignito della Croce di guerra, uomo colto amante di lirica e letteratura e così distante da lui. Lorenzo comincia così, una lunga ricerca sulla figura paterna e gli compare alla mente il fantasma della sorella Marianeve, morta prematuramente. È Marianeve a raccontargli che il capitano combattè al confine orientale i partigiani di Tito, ebbe un’amante, l’enigmatica Ivanka, che metteva in guardia Goretti dal capo partigiano Eric “il Rosso”, di cui però era allo stesso tempo l’amante; Ivanka tradì così il capitano facendo uccidere i suoi uomini su un ponte minato in cui Goretti fu l’unico superstite. Lorenzo indaga sulle foibe, facendo ricerche sui libri, e interrogando un sopravvissuto napoletano: Cristiano Rocca. Rocca è quasi impazzito per l’ossessione di essersi salvato, e racconta a Lorenzo di esser stato proprio lui a uccidere il capo partigiano Eric. Come ultimo gesto per la riconciliazione con la figura paterna Lorenzo decide di aprire un baule con le carte e le lettere del padre, tra cui trova una cartolina inviata proprio al capitano da Cristiano Rocca: i due si erano quindi conosciuti e Lorenzo riesce così a risolvere un doloroso capitolo della propria vita.
La coscienza di Zeno di Italo Svevo
È il resoconto di un viaggio nell’oscurità della psiche, nella quale si riflettono complessi e vizi della società borghese dei primi del Novecento, le sue ipocrisie, i suoi conformismi e insieme la sua nascosta, tortuosa, ambigua voglia di vivere. L’inettitudine ad aderire alla vita, l’eros come evasione e trasgressione, il confine incerto tra salute e malattia divengono i temi centrali su cui si interroga Zeno Cosini in queste pagine bellissime che segnarono l’inizio di un modo nuovo di intendere la narrativa. Primo romanzo “psicoanalitico” della nostra letteratura, quest’opera rivoluzionaria seppe interpretare magistralmente le ansie, i timori e gli interrogativi più profondi di una società in cambiamento.
Regina di Saba di Carlo Sgorlon
Il bagliore di un incendio, una breve apparizione, una affascinante figura femminile. Un incontro che si ripeterà, che deve ripetersi: così sogna il ragazzo friulano già innamorato della sconosciuta. È l’inizio di una storia d’amore strana e sofferta, in bilico tra la sensualità di un’attrazione e lo sguardo violento di una natura incontaminata. Sgorlon, come soltanto un grande scrittore può, ha perfettamente imprigionato la passione tra un uomo e una donna in questo romanzo, pubblicato nel 1975. I due amanti non potranno più dimenticarsi, anche dopo molti anni, anche lontani da quella natura che li ha stregati, anche quando le decisioni da prendere diventeranno difficili.
Una classe difficile di Giulia Bozzola
In una lettera indirizzata a un maresciallo dei carabinieri, Greta ripercorre un anno di supplenza nella scuola media di Meduno, paesino delle montagne friulane. Un anno passato tra lezioni, gite nei boschi, chiacchierate con colleghi frustrati da un mancato trasferimento, rapporti non sempre facili con la comunità del posto. Un anno ripercorso attraverso una confessione che è un viaggio nei sentimenti, alla riscoperta del nodo di repulsione e attrazione per una terra aspra, dove anche i ragazzi hanno negli occhi la durezza di leggi antiche e la purezza di un isolamento che le scie dei caccia militari, diretti nei vicini territori dell’ex Iugoslavia durante la guerra del Kosovo, sfiorano appena. È un anno che si rispecchia nel volto da bambino-adulto di “Occhiverdi”, e nella silenziosa, cauta passione che quello stesso volto suscita in Greta. Ma l’anno raccontato, l’anno che è questo libro, è macchiato dalla tragica morte di un ragazzo al termine di una festa in riva al fiume. Si è trattato di un incidente o è stato vittima di un omicidio? Qualcuno avrebbe potuto fare qualcosa per impedirlo? È l’eco di questo evento misterioso continuerà ad aleggiare sulla vita dei protagonisti come un fantasma senza pace.
Il conte pecoraio di Ippolito Nievo
E’ un tentativo di esplorare narrativamente la realtà rurale del Friuli contemporaneo. Il progetto di una letteratura “campagnuola”, diffuso nell’Europa di quegli anni, trova in Italia con Nievo una risposta capace di confrontarsi coi più importanti modelli letterari (Manzoni, Sand, Carcano), di misurarsi sulla complessità del romanzo, e di riflettere le difficili questioni – sociali, economiche e culturali – di quell’Italia regionale, povera e arretrata, ma ricca di valori e di civiltà, che era ormai avviata all’unità nazionale. La veste linguistica, eccessiva rispetto alla media ottocentesca e alle stesse abitudini nieviane, e alcuni artifici narrativi hanno ingiustamente penalizzato questo romanzo, forse il meno noto di Nievo. Eppure attraverso la storia di Santo – il “conte pecorajo” – e di sua figlia Maria, il lettore di oggi riscopre un documento vivo del Friuli preunitario, un romanzo “contadinesco” tutt’altro che banale, e la prova prima di un grande scrittore.