“Senti che puzza, scappano anche i cani, stanno arrivando i napoletani. Oh colerosi, oh terremotati, voi col sapone non vi siete mai lavati! Napoli merda, Napoli colera, sei la vergogna dell’Italia intera!” (Matteo Salvini, Pontida, 2009).
Nell’apprendere la notizia del nuovo scandaloso titolo di Libero (riportato nell’immagine in copertina), è stato impossibile, da parte nostra, non ricordare questo vergognoso coro che l’attuale Ministro degli Interni, nonché vicepremier del Governo, intonò nel 2009 contro i cittadini di Napoli, durante un raduno politico a Pontida. Basta fare una rapida ricerca su YouTube per averne le prove. Sorvolando sulla deprecabile ironia sul terremoto dell’Irpinia – per il quale sono morte quasi tremila persone -, quello del colera, infatti, è stato, per anni, un cavallo di battaglia negli scherni e nelle denigrazioni a danno dei napoletani da parte della Lega Nord, prima che questa decidesse di tentare la calata al Sud, togliendo la parola Nord dal logo. Questo perché, nel lontano 1973, per colpa di alcune cozze tunisine distribuite in città, si diffuse un’epidemia, la quale venne arginata e debellata in tempo record, ma, ovviamente, per i padani fu il pretesto per inasprire ancora di più l’onda della discriminazione da cavalcare, con il cliché di una Napoli malfamata e sporca. L’allusione provocatoria da parte del giornale (anche se si fatica a definirlo tale), punta di riferimento della destra leghista, quindi, parliamoci chiaro, pare proprio voluta; ed, in più, gli autori, con il sottotitolo “per colpa degli immigrati”, sono riusciti pure ad alimentare il solito gioco razzista di dare in pasto all’opinione pubblica meno attenta il capro espiatorio dello straniero, quale causa di ogni male che affligge il nostro Paese. Scacco matto: terroni ed immigrati in una sola mossa!
Nel caso specifico, però, la verità dei fatti, quella che una testata seria avrebbe dovuto sottolineare nel modo corretto, è ovviamente diversa rispetto al titolo sensazionalistico. Ebbene, la realtà è che una mamma e un bimbo di due anni, residenti da diverso tempo a Sant’Arpino, alla porte di Aversa, a seguito di un viaggio di famiglia in Bangladesh, loro Paese di origine, hanno contratto la malattia. Essi però, non appena sono atterrati all’aeroporto di Capodichino, sono stati prontamente ricoverati all’ospedale Cotugno ed ora sono fuori pericolo. Il personale sanitario che li ha in cura ha evidenziato che la situazione è totalmente sotto controllo, rassicurando sul fatto che in nessun modo si possa parlare di “allarme epidemia”, come hanno voluto far credere. Libero, sia chiaro, almeno per questo episodio, nel corpo dell’articolo non riporta una falsità, ma, come ci ha ormai abituati, esagera, calca la mano, distorce e strumentalizza. La spiacevole vicenda poteva accadere ovunque e coinvolgere chiunque e, pertanto, è molto più che evidente che né il capoluogo campano, né il fenomeno migratorio c’entrino alcunché.
Ma, come si diceva, non è la prima volta che il quotidiano tira fuori dal cilindro titoli offensivi, non solo contro Napoli e i napoletani, ma, appunto, anche contro gli stranieri, i gay o le donne, come nel caso della sindaca Raggi o della Boldrini. Come poter dimenticare, mentre ci sanguinavano gli occhi, quel “A Napoli si bruciano da soli”, letto all’indomani del terribile incendio sul Vesuvio!?
Vittorio Feltri, direttore di Libero, intervistato ad un evento all’università Suor Orsola Benincasa, sulla questione è scaduto, a sua volta, in un luogo comune, parlando di “pianto napoletano”, riferendosi al solito vittimismo che, secondo loro, caratterizza il popolo partenopeo. Dello stesso tenore è stata la risposta ufficiale del giornale, a seguito delle proteste e delle lamentele che sono partite pure dallo sportello “Difendi la città”, istituito dal Comune al fine di contrastare, per vie legali, gli episodi frequenti di diffamazione.
Da parte nostra, esprimiamo una ferma condanna contro questo modus operandi, che, anche in quanto giornalisti, ci indigna profondamente. Al tempo stesso, però, ci suscita una certa ilarità il fatto che un anziano direttore, perennemente ospite delle trasmissioni di Rete 4 nelle vesti del duro, e la sua testata giornalistica si vedano ancora costretti a ricorrere a questi mezzucci e a queste provocazioni pur di non sparire nel dimenticatoio.