Tutta l’Italia è un paese dalle risorse infinite, un giacimento di arte, di cultura, di multiformi suggestioni ambientali e naturali che la percorrono lungo l’intero stivale. Questa diversità non è solo geografica e le sue regioni la esprimono con il folclore ed i costumi: una varietà che si riflette integralmente nella grande tradizione gastronomica italiana. Possiamo vantare di una lunga tradizione culinaria, a partire dalla pasta che nell’immaginario mondiale viene associata alla nazione stessa, come simbolo della cucina italiana. Ma qual’è l’orgine della pasta? Innanzitutto, la pratica di ridurre i cereali in farina risale a migliaia di anni fa e la si accredita all’era neolitica, al punto da attribuire allo stesso sviluppo dell’umana civiltà l’uso di macine. Del resto, ancora oggi, in paesi a basso sviluppo tecnologico e a civiltà pressoché primitive, è praticata la cottura di “schiacciate” di farine di cereali, senza lievito o fermentazione, su pietre roventi. Si dice che la dimostrazione dell’antichità della pasta si ha, indirettamente, proprio dalla mancanza di un inventore o, quanto meno, dal fatto che, se pur esistito, non ne conosciamo il nome. Già nel mondo latino si può ritenere che esistesse la pasta, oltre che al pane: per la realtà di società agricola, il termine pasta deriva dal greco “pasté”, equivalente proprio a farina mescolata con acqua e sale. Non mancano le notizie sull’antichità delle lasagne, delle fettuccine e dei maccheroni. Orazio nelle Satire descriveva la sua giornata a Mecenate che si concludeva con un “bel piatto di lagane”. “Lagane” erano le lasagne latine, introdotte nelle Calabrie dai Greci e non è fuori luogo che “laganaturo” (dal greco laganux, lasagna) è il matterello (arnese per stendere la sfoglia di pasta) secondo i dialetti meridionali. Anche se, qualche secolo dopo, nel “de re coquinaria” di Apicio, le lagane sonoben altra cosa: le prime, quelle oraziane, del mangiar povero (cucinate con porri e ceci), mentre le seconde, quelle apiciane, indicavano una cucina ricca. Circa l’introduzione della pasta in Italia una data precisa non è consentito indicarla, ma certamente la sua esistenza nel XIV secolo doveva essere molto affermata se Boccaccio ne fa cenno nella terza novella dell’ottava giornata del Decamerone, quando Maso del Saggio racconta a Calandrino che nel paese di Bengodi “eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattuggiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e raviuoli in brodo di capponi”. Matilde Serao riporta una leggenda risalente al 1220 secondo cui in un preciso edificio napoletano abitava un mago, detto Chicco, al quale sarebbe attribuita la manipolazione di farina nel realizzare la pasta. Chicco fu tradito da un’astuta vicina di casa che ne carpì il segreto e realizzò la pasta prima di lui e la offrì al re.Questi famosi maccheroni che Alexandre Dumas riconosce “nati a Napoli”, sono dallo stesso definiti “pietanza europea” (e si era nel 1860, all’epoca dell’invasione di Garibaldi). Infatti, anche per Gioacchino Rossini i maccheroni erano “il piatto preferito, il pasto quotidiano”. Si racconta che nel 1861 un famoso impresario del San Carlo riuscì a portare a Napoli il grande compositore pesarese ed a farlo desistere da propositi di rinuncia (dopo l’ingiusto e provocato insuccesso del Barbiere di Siviglia a Roma) e a “mantenerlo prigioniero” nel Palazzo Berio in via Toledo con “due soli piatti di maccheroni al giorno”, pena la consegna di una nuova opera, l’Otello. A Napoli negli anni trenta si realizzarono, tra l’altro, “e maccarune ‘e casa“, definiti “un monumento archeologico nella gastronomia moderna”, che non erano altro che dei gnocchi. Si può ben capire, dunque, quanto la cucina italiana sia ricca di storia e di tradizioni che hanno contraddistinto il paese, per la qualità, il valore e la prelibatezza dei suoi prodotti, nel resto del mondo.