Eccomi a Marrion Square, appena davanti all’ingresso di quella che fu la dimora di Oscar Wilde.
È ad una fermata dell’autobus qui, nel mezzo di Dublino, che un anziano signore si prende la briga di spiegarmi cosa diavolo è successo ieri a Derry, una cittadina del Nord. Dal mio arrivo, non ho sentito nessuno parlare di altro.
Ero arrivato qui con l’intenzione di fare luce sulle origini comuni di grandi rock star come Thin Lizzy, Sinéad O’Connor, Bob Geldof, Van Morrison, Rory Gallager, Cramberries, Corrs, The Undertones e altri grandi irlandesi. Certo, se avessi studiato meglio la storia ai tempi del liceo, avrei di sicuro scelto una data migliore, non certo questo orrendo 31 gennaio 1972. Perchè l’Irlanda è un’unica grande isola si, ma divisa in due Stati e tra i ’60 e i ’70 le cose davvero non stanno andando bene.
La Repubblica di Irlanda (l’EIRE dove mi trovo adesso) è una nazione del tutto indipendente dalla Pasqua del 1949, ha un suo parlamento con sede qui a Dublino ed è a maggioranza cattolica. L’Irlanda del Nord invece, dove è situata la città di Derry, o Londonderry – come la chiamano i sostenitori del dominio inglese – è a maggioranza protestante, è fedele alla Regina e fa parte del Regno Unito. La sua capitale è Belfast.
I Troubles, come il mio anziano amico chiama i problemi, non sono solo una questione geografica o religiosa, anche se la religione è diventata una parte importante della vicenda, ma sono veri e propri scontri sociali dovuti alla larga discriminazione riguardo a lavoro e potere politico verso la minoranza cattolica al Nord. La spiegazione continua, non senza esclamazioni di rabbia, col fatto che la scorsa estate (1971) il parlamento del Nord ha varato addirittura una legge sull’internamento, che permette l’arresto e la detenzione a tempo indeterminato di chiunque sia sospettato di qualcosa dalle forze dell’ordine, senza processo e con trattamenti che spesso sconfinano dritti nella tortura.
É per protestare contro tutto questo che l’associazione per i diritti civili dell’Irlanda del Nord aveva organizzato la marcia di ieri a Derry. Di domenica, così che tutti potessero parteciparvi. Diecimila persone hanno sfilato in corteo, ma in pochi minuti è successo il finimondo.
Il Primo Battaglione del Reggimento Paracadutisti inglese ha aperto il fuoco sulla folla, colpendo 26 civili e uccidendone 14, di cui sei minorenni. É una strage.
Il racconto è talmente toccante che ho seguito il signore sull’autobus, senza neppure sapere dove questo fosse diretto. Quando mi accorgo di aver raggiunto la periferia, saluto l’anziano e mi affretto a scendere.
Proprio così, sui gradini dell’autobus, faccio il mio incontro con Paul. Avrà si e no dodici anni, era seduto dietro di noi ed è sconvolto. Mi offro di riaccompagnarlo a casa.
I suoi genitori sono un cattolico e una protestante, Bob e Iris. Per sposarsi, negli anni ’50, suo padre ha dovuto richiedere una dispensa al Papa.
Paul quasi si vanta del soprannome che suo padre gli ha affibiato: l’Anticristo. Gli si legge in faccia che è un ribelle, ma non mi sembra affatto cattivo, anzi la sua sensibilità e il suo rifiuto della violenza mi appaiono chiarissimi, per quanto nel contesto che ci circonda, e che mi sta descrivendo, sembri impossibile non finire dentro ad una logica violenta. I sobborghi di Dublino sono pieni di gangs giovanili dove le vie dell’alcol, della droga e della violenza sono accessibilissime. Ma Paul non è così. Certo, la rabbia la prova e le sue bravate le fa. Con un filo di soddisfazione malcelato mi racconta di quando ha fatto cadere una pioggia di escrementi di cane sulla sua prof di spagnolo. Se l’era cercata, trattandolo proprio male. Si giustifica così, lo ha fatto solo perchè odia le ingiustizie e l’oppressione. Ciò che è successo ieri a Derry proprio a lui, nato da un matrimonio misto e cresciuto secondo i principi della reciproca tolleranza, non va giù.
E non va giù neppure alle grandi rock star. Tanto per cambiare, i primi a far sentire la loro voce si chiamano Paul McCartney e John Lennon. Non sono più insieme nei Beatles da ormai due anni. Il primo lancia la sua Give Ireland Back To The Irish, un attacco esplicito alla politica inglese con l’invito a provare a immaginare la stessa vicenda a parti invertite. Il secondo scrive Sunday Bloody Sunday, un testo veramente estremo, in cui senza giri di parole inglesi e scozzesi vengono definiti “maiali”.
Quella domenica 30 gennaio 1972 passerà alla storia come la Bloody Sunday. Bloody, che in inglese significa sanguinosa, ma anche maledetta: una maledetta domenica.
La sensazione di essere vittime di un sopruso cresce, quando la prima inchiesta svolta dal ministero della giustizia inglese si conclude con uno sfacciato insabbiamento. La Regina in persona decora con una delle massime onorificenze chi ha guidato il massacro.
É troppo, credo sia arrivato il momento di cambiare periodo. Scappo alla Macchina del Tempo con l’unico desiderio di tornare a casa. Poi penso a Paul. Mi piacerebbe salutarlo, sapere come è cresciuto, se ha superato quello shock. Decido allora di impostare la data 15 anni e mezzo più avanti, 1988.
Al portone della casa dove accompagnai il ragazzino nel 1972 vengo accolto da una fragorosa risata: “Se ci tieni davvero a vedere Paul David Hewson, faresti meglio a comprare un biglietto di uno dei suoi concerti, ma credo che ora gli U2 siano in tour in America!”.
Paul, il ragazzino sull’orlo delle lacrime che riportai dalla mamma protestante, ora si fa chiamare BonoVox ed è il leader di una delle più grandi rock band del pianeta.
Cinque anni fa (1983) ha scritto la sua Sunday Bloody Sunday. Non una semplice canzone ribelle filoirlandese, ma un inno universale al rifiuto della violenza, che condanna anche gli attentati di parte cattolica.
2019:
Se pensate che nel XXI secolo la stagione dei Muri sia terminata, sbagliate. E non c’è da andare a scomodare Israele e Palestina, Stati Uniti e Messico, Corea del Nord e Corea del Sud, India e Pakistan, Kuwait e Iraq.
In Irlanda del Nord, ci sono ancora ben 13 chilometri di barriere fisiche a tenere separati cattolici e protestanti.
La domanda del piccolo Paul resta attualissima, davanti a porti che si chiudono, muri che si alzano, frontiere che risorgono:
“Per quanto ancora, per quanto ancora dovremo continuare a cantare questa canzone?”