384, sì… 384! Lo riscriviamo pure a lettere nella speranza, forse vana, che, magari scandendo ognuna di esse, si possa avere maggiore contezza della problematica: trecentottantaquattro! Ebbene, questa cifra enorme, sebbene sia difficile da accettare, rappresenta il numero di tutti coloro che, a partire solo dall’inizio di quest’anno, hanno perso la vita sul posto di lavoro, le cosiddette “morti bianche”. Oltre il caso dell’uomo di 37 anni a Carrara (assunto con un misero contratto di sei giorni) colpito da una lastra di marmo, a tal proposito, negli scorsi giorni, ad aggiungersi a questa scia di dolore, è arrivata anche la tremenda notizia della morte di un giovane napoletano. Parliamo di Salvatore Caliano, precipitato dal quarto piano di un palazzo mentre era intento a pulire, per l’irrisoria paga di 35 euro – per giunta, in nero – il lucernario di un ascensore. Il ventunenne, in realtà, lavorava in un bar sulla strada, a via Duomo a Napoli; non sappiamo se fosse assunto regolarmente, ma sta di certo, però, che si possa ben immaginare come il suo stipendio da barista non fosse per nulla bastevole, tanto da indurlo ad accettare di svolgere quell’incarico di pulizia, in uno stabile vicino, durante lo spacco del pranzo, senza alcuna protezione. Ora, ad essere indagati per omicidio colposo sono in due, tra i quali la proprietaria che ha richiesto il suo intervento.
Ci uniamo, ovviamente, nel cordoglio a tutti i suoi familiari ed i suoi cari per questa immane tragedia e, al contempo, esprimiamo un moto di rabbia, con la volontà di sollecitare in ognuno di noi delle domande. Bisogna, infatti, innanzitutto chiedersi come diamine sia possibile morire in quel modo ed a soli 21 anni, per di più. Non è accettabile che un ragazzo, pur avendo già un impiego, debba avvertire la necessità di svolgere altre mansioni per arrivare alla fine del mese; non è tollerabile, poi, che il tema della sicurezza sul lavoro sia trattato, dai più, con leggerezza disarmante, perché ciò che conta, a quanto pare più della stessa vita umana, è solo il risparmio per gli sfruttatori.
Sul piano generale, occorre riflettere sulle precarie condizioni occupazionali nelle quali vessano le vite di molti di noi, la maggior parte di noi. In Italia, invero, checché vogliano farci credere, esiste un’unica e gigantesca emergenza, ovvero quella del lavoro, del lavoro che manca, specie nel Sud, e che quando c’è, per quel poco, è pessimo, sia dal punto di vista retributivo che delle tutele. Diciamocelo chiaramente, nel nostro Paese, i diritti dei lavoratori sono stati svenduti sull’altare del profitto e a nulla sono serviti e servono i tentativi di riforma, veri e propri maquillage, fino a quando essi non saranno realmente incisivi e senza ambiguità. L’articolo 18, i diritti, i voucher, il caporalato, lo sfruttamento… sono queste le tematiche delle quali dovremmo parlare costantemente, anziché essere sviati nell’attenzione avverso altre persone che stanno pure peggio di noi. Piuttosto che scagliarci contro il nero, inteso come colore della pelle, dovremmo riempire le piazze per combattere contro il lavoro nero, quello che, realmente, ci impedisce di vivere dignitosamente.
Salvatore, per usare una definizione del noto cantautore e musicista Caparezza nella canzone “Sono un eroe”, era un “eroe contemporaneo”, perché lottava ogni giorno per farcela e sperare di potersi costruire un futuro migliore. E, dunque, non dobbiamo dimenticarlo, anzi abbiamo il dovere morale di fare in modo che la sua morte non sia vana. Facciamo vivere Salvatore attraverso la pretesa per i nostri diritti, perché il lavoro, sicuro e ben pagato, non è un privilegio o una concessione, ma è ciò che ci spetta in quanto cittadini.