4 giugno 1994 si spegne nella casa romana della sorella a 41 anni il grande Massimo Troisi, a causa di un attacco cardiaco che gli costò la vita conseguentemente all’ennesimo episodio di febbre reumatica di cui soffriva.
Fin da piccolissimo, il cuore e’ stato, suo malgrado, al centro della sua vita, motivo di fragilità e fonte di ispirazione poetica che ritroviamo a caratterizzare tutta la sua intensa attività artistica.
Massimo Troisi era nato a San Giorgio a Cremano, il 19 febbraio del 1953, quinto di sei figli, esperienza che descrive sempre nei tratti dei suoi personaggi come quello di Vincenzo, un uomo titubante, pigro, indolente, chiuso in se stesso, spaventato dalla malattia, con un amico, Tonino, interpretato da Lello Arena, succube delle sofferenze dell’amore, quasi come i personaggi narrati nella letteratura greca ma con tratti umoristici avvincenti. Famosissime le scene di dissacrazione delle sofferenze di amore, dell’abbandono al dolore, con un tratteggiare personaggi apparentemente anche autobiografici volti a sgretolare l’immagine classica del napoletano fatta di “pizza e mandolino”.
Il dolore, la riflessione, la critica alla realtà, soprattutto nella Napoli del post terremoto, sono presenti nella sua narrazione cinematografica seppure la sua indipendenza e la sua intelligenza, abbinati anche ad una dose di pigrizia, lo portavano a scontrarsi con le regole rigide delle case di produzione dell’epoca per cui produceva film quando voleva e con la libertà assoluta di destrutturare realtà e prototipi, come lo stesso Pulcinella che amava tanto ma che impersonava in modo del tutto originale e svincolato dai clichè.
Dopo una vivace e ricchissima vita artistica, la morte sopraggiunge a poche ore dalla fine delle riprese de “Il Postino”, film a cui teneva tantissimo dove l’immagine di Massimo diviene iconica nella sua tragicità con un destino che lo accomuna nella vita e nella storia del personaggio interpretato, il postino Mario, anche se con grande fatica pur di terminarlo. Troisi sapeva di doversi sottoporre ad un nuovo trapianto, ma teneva troppo a terminare la registrazione del film “con il suo cuore” e così fece con fatica, tormentato dalla necessità di fare in fretta per completare la pellicola a cui aveva lavorato con infinita passione e che amava profondamente forse perchè consapevolmente l’eredità che ha lasciato in Mario è molto di più di una semplice narrazione cinematografica, è la volontà di arricchire di dolcezza, umanità, profonda riflessione, poetica esistenza la vita del personaggio e forse anche la sua.
Nel mezzo Troisi avrebbe dovuto fare il trapianto tanto atteso che fu rimandato mentre il suo cuore si era speso tutto per rendere quel film memorabile e indimenticabile nella sua storia e nel suo lento incedere tra gli scorci di Procida e Salina dove le immagini poetiche del suo corteggiamento sono impresse divenendo parte della suggestione complessiva dei luoghi e della storia.
La popolarità di Troisi arriva in televisione con il trio “La smorfia”, con Lello Arena e Enzo Decaro, con l’ intuito di Magalli che lo portò in prima serata sulla tv di Stato ammirato e acclamato da tutti con quella sua originale capacità di mistificare la realtà e di abbattere tutti gli stereotipi con l’innocenza di un fanciullo e la creatività di un vero poeta dell’epoca.
La sua dissacrante ironia della realtà permetteva di guardare il mondo partenopeo in modo diverso, meno denigratorio seppure critico a partire dal linguaggio parlato simile al dialetto ma reso ancora più unico dal fatto di essere comprensibile anche a chi viveva oltre i confini di Neapolis.
Proprio la scelta di parlare la sua lingua in modo libero senza censure rispondeva alla volontà esplicita di portare una caratterizzazione tutta napoletana epurata da tutti i condizionamenti negativi di emigranti al nord per cercare lavoro, di pulcinella viventi pronti a cantare e ballare solo perché napoletani, di scansafatiche pronti a rifuggire responsabilità e impegni, di diffidenza nei confronti dell’amore tradizionale fatto di matrimonio, mogli e figli che vedeva quasi come una limitazione alla propria libertà e alla espressione della propria persona pur se la sua visione della donna è comunque all’avanguardia in termini di libertà di scelta e di amore proprio lui che le donne le amava profondamente così come le temeva.
La sua fama si intensifica quando diviene solista e si sgancia dal trio della Smorfia pur restando sempre legato anche quale interprete nei suoi primi film a Lello Arena .
E così arriva il grande successo con il Cinema, dove non si possono non rievocare titoli memorabili come Ricomincio da tre (1981), Scusate il ritardo (1983), Non ci resta che piangere, regia con Roberto Benigni (1984), Le vie del Signore sono finite (1987), Pensavo fosse amore… invece era un calesse (1991), Il postino (1994), film quest’ultimo con cui, nel 1996, ricevette seppure postume 2 candidature all’Oscar : miglior attore protagonista e migliore sceneggiatura non originale.
I suoi personaggi restano iconici: Gaetano, Vincenzo, Tommaso, Mario sono tutti tratti di una umanità profonda, mai banale, anche se divertita e divertente, dissacrante e distonica con la realtà..Troisi amava riflettere con il sorriso, lo faceva con un’ironia pungente e strappalacrime, nello stesso tempo, rappresentava un geniale ideatore di pellicole e di dialoghi, dove lo scontro uomo-dolore, uomo-donna, uomo-stereotipi è sempre descritto in maniera effervescente, intelligente e illuminante.
Chi ha vissuto l’epoca Troisi-Daniele non può non ricordare l’aria che si respirava e come ha scritto qualcuno, non può non ricordare dov’era e cosa faceva quando la notizia della sua morte cominciò vorticosamente a girare, perchè Massimo Troisi ha fermato il tempo in un momento della storia partenopea, anche post terremoto e lo ha descritto con voce gentile, con garbo ma con una vena incisiva che facevano della sua arte qualcosa di nuovo, di originale, di diverso.
La sua voce tremula, il suo incedere lento, la sua pigra esistenza, le sue dolci virtù e i difetti sono inanellati dalla volontà di descrivere e rivoluzionare, una riflessione che vuole portare al cambiamento di se stesso e di ciò che lo circonda come il mondo delle donne da cui è affascinato e profondamente spaventato, se si pensa alla narrazione di “Pensavo fosse amore e… invece era un calesse”, dove la libertà della donna viene suggerita, sospinta, diviene suggestione di cui si ha paura ma nello stesso tempo Troisi dà una spinta a questa autonomia, a questa nuova libertà e ama descriverla, tratteggiarla, alternarla a quella maschile. Ed è proprio questo suo tratteggiare l’umanità senza riserve, nè preconcetti che fanno della sua vita artistica un unicum assoluto…ogni apparizione in tv, nelle interviste, nei momenti in cui è ripreso anche nella vita privata contribuisce a narrare qualcosa di lui, a rendercelo sempre più empatico, sodale, descrittore di vizi e virtù con sorriso e amarezza, nella sua difficoltà di affrontare le esperienze di vita, in primis, la malattia a cui dedica sempre qualche pensiero, sentendo il peso di una vita sospesa, anche quando nelle sue interpretazioni vorremmo smuoverlo dalla sua pigrizia, dalla sua resa, dalle sue titubanze…
La sua collaborazione con Benigni poi in “Non ci resta che piangere” è un inenarrabile capolavoro di finzione cinematografica, dove la risata e il teatro dell’assurdo la fanno da padroni con la percezione viva di un’amicizia salda che lo accompagnerà fino alla sua scomparsa e un Benigni che dedicherà a Troisi una delle sue poesie più belle, tratteggiandone l’umanità immensa e la sfrontata genialità artistica che tanto faceva soffrire i cinematografici dell’epoca a cui Troisi non si assoggettò mai rappresentando con la parafrasi di una delle sue frasi iconiche che un film di Troisi ci può essere come non ci può essere, si può guardare ma anche no…segno evidente che lui produceva quando e come voleva i suoi film, segno irridente che si ritrova nel titolo del film “Scusate il ritardo”, campione di incassi, ma atteso per tre lunghissimi anni al botteghino.
La sua capacità di raccontare timidamente ma anche con originalità il mondo di cui siamo parte e’ ormai riconosciuta a livello internazionale.
Troisi, mimo istrionico, indiscutibilmente genio comico, malinconico seduttore, grande attore, profondo poeta , drammaturgo, convinto disgregatore di certezze, ha portato la sua sensazione di vivere una vita appesa ad un filo in ogni suo tratto, in ogni suo personaggio, in ogni sua intervista e non l’ha fatto piangendosi addosso, ma combattendo gli stereotipi che non accettava e non condivideva, lui per primo instancabile nelle sue performance anche a costo del suo cuore che ha deciso si di fermarsi ma quando ormai aveva già corso all’impazzata una vita fatta di infiniti successi, soddisfazioni, riconoscimenti, amori e tanti meravigliosi film.
Proprio i suoi film sono un’incantevole magia, sembra di viaggiare in un’altra dimensione, quella della surreale speranza di combattere con la forza della parola le logiche stereotipate soprattutto dei napoletani che lui tanto avversava e criticava anche quando si rifiutò di scendere a compromessi con la censura della Rai per un suo intervento programmato al Festival di Sanremo che decise di non tenere più perché non libero di dire quello che voleva e pensava sul post terremoto, sulla disoccupazione del Sud e in generale sulla questione meridionale …
Le sue frasi mitiche, le sue battute epiche , la sua ipocondriaca narrazione della vita, la sua destrutturazione della realtà, la caratterizzazione delle sue fragilità, la pedanteria polemica di chi fa sempre un passo indietro, la sua “appocundria” tutta partenopea sono parte della vita di chi l’ha vissuto Troisi nel pieno del suo successo perché ha trasformato un modo di pensare e, a modo suo, è riuscito a ironizzare e desacralizzare alcuni degli stereotipi più feroci dei meridionali disoccupati e indolenti, emigranti e caotici, perditempo e teatrali.
La coincidenza tragica della sua morte a poche ore dalla conclusione del faticosissimo Il Postino dove si vede un Troisi affaticato, provato e smagrito dalla malattia cardiaca che lo affliggeva da sempre, sembra un fatale destino dove le vite di un dolce timido poeta e di un temerario appassionato attore si incrociano, si compenetrano, si appartengono in un sodalizio senza precedenti lasciando una scia di poesia infinita scritta proprio con la volontà di lasciare un segno in un film a cui teneva particolarmente dove per la prima volta alla volontà dissacrante e pungente si sostituisce una dolcissima storia d’amore fatta di poesia, di lentezza, di sguardi, di passeggiate, di mare, tanto mare quasi a voler suggellare la presenza, la sua presenza in quei luoghi e imprimerne una impronta di immortalità senza che il battere del suo cuore potesse condizionarne l’esistenza…essendo lì per sempre senza bisogno di altro che di se stesso e della sua storia…così come poi è stato!
Ne Il postino non troviamo più tutta la satirica e sarcastica descrizione dell’amore e del matrimonio come impedimento, fastidio, ostacolo alla libertà, quasi prigionia dei sentimenti e dell’amore stesso, collegato alla disperazione di un amore perso o di un matrimonio saltato o di un amico disperato o di un avvelenamento per mano di un amore malato o di una cartomanzia da strapazzi per avere pozioni magiche bensì Troisi apre il suo cuore, regala la sua autentica essenza di uomo d’amore, depone lo scettro del dissacratore e passeggia silenzioso su una bici datata per portare messaggi d’amore e nel fare questo, si completa, completa la sua vita e si abbandona al sonno profondo di un addio che ancora ora a trent’anni di distanza fa male ma che era indispensabile per congedarsi dalla vita dopo aver detto fatto e spiegato in tutti i modi e con tutti i linguaggi a lui familiari il valore dell’amore nella vita di tutti …
E il cuore, il suo cuore da sempre protagonista del suo racconto e del suo destino ha smesso solo il suo ticchettio perché ogni qualvolta si è al cospetto con un suo film o con una sua intervista lo si sente di nuovo battere fortissimo…tic tic tic proprio come racconta chiunque ha avuto la grande fortuna di essergli accanto.