Abdulrazak Gurnah è il nuovo Nobel per la letteratura “per la sua intransigente e profonda analisi degli effetti del colonialismo e del destino del rifugiato nel golfo tra culture e continenti”, questa la motivazione annunciata dall’Accademia di Svezia.
Preceduto, come ogni anno, da pronostici e scommesse, da Stoccolma è giunto così l’annuncio, storicamente spesso accompagnato anche da polemiche.
L’ Accademia di Svezia aggiunge: “Gurnah ha pubblicato dieci romanzi e molte raccolte di racconti. In tutti i suoi lavori ricorre il tema dei rifugiati. Ha iniziato a scrivere a 21 anni mentre era in esilio in Inghilterra e nonostante il Swahili fosse la sua prima lingua, presto l’inglese è divento la sua scelta letteraria. La lingua letteraria della tradizione inglese da Shakespeare a V.S. Naipaul ha molto influenzato il suo lavoro. Un’opera nella quale lo scrittore sa però rompere la convenzione mettendo fine alla prospettiva coloniale valorizzando quella delle popolazioni indigene”.
Molti lettori non lo conoscono. Chi è Abdulrazak Gurnah?
Nato nel 1948 sull’isola di Zanzibar, ha terminato la scuola secondaria nel 1966, due anni dopo la rivoluzione, un periodo fortemente connotato da disordini e violenze. Per proseguire gli studi e fuggire ai conflitti in corso, all’età di diciotto anni si è trasferito con il fratello in Gran Bretagna. Dal 1980 al 1982 Gurnah ha insegnato alla Bayero University, a Kano in Nigeria. Nel 1982 ha conseguito il dottorato di ricerca presso l’Università del Kent, dove dal 1985, fino al suo recente pensionamento, ha insegnato letteratura inglese e postcoloniale.
Il suo primo romanzo, Memory of Departure, completato intorno al 1973, è stato inizialmente rifiutato ed è stato pubblicato solo nel 1987. A questo romanzo seguiranno Pilgrims Way (1988), Dottie (1990) e Paradiso (1994), finalista al premio Booker Prize. Le opere successive includono Admiring Silence (1996), Sulla riva del mare(2001), Desertion (2005), The Last Gift (2011) e Gravel Heart (2017), Afterlives (2020).
Temi ricorrenti nei suoi romanzi sono l’esperienza degli immigrati, l’appartenenza e il desiderio, lo spostamento, la memoria e il colonialismo.
Ha curato due volumi di saggi sulla letteratura africana, Essays on African writing: A Re-evaluation (1993) e Essays on African Writing: Contemporary Literature (1995).
A oggi, è il quinto autore africano a vincere il Premio Nobel per la Letteratura.
Paradiso
Paradiso si svolge in Kenia e si apre alla vigilia della prima guerra mondiale. Yusuf ha solo dodici anni quando suo padre lo affida allo Zio Aziz, un ricco mercante. Vicino a Mombasa, nella bottega di Aziz, il ragazzo scopre che non si tratta di suo zio, ma del suo padrone. Venduto per pagare i debiti del padre, è costretto a lavorare duramente. Poi, un giorno, Aziz decide di portarlo con sé per un lungo viaggio all’interno del continente africano. Yusuf conosce così la morte e la violenza, e impara le difficili regole di convivenza di un mondo sull’orlo del conflitto, dove musulmani, missionari cristiani e indiani coesistono in un fragile equilibrio. Al suo ritorno, Yusuf è un altro: un giovane robusto e avvenente. È ancora uno schiavo, ma a dargli la libertà del cuore c’è l’amore, quello per la giovane ancella della padrona, Amina. La ragazza però cela un terribile segreto e, mentre il colonialismo europeo stringerà le sue maglie sul continente africano, Yusuf capirà il cammino che dovrà intraprendere…
Il disertore
Hassanali è diretto verso la moschea, ma dal deserto emerge la sagoma di un inglese, che crolla esausto ai suoi piedi. Martin Pearce, viaggiatore, scrittore e studioso dell’Oriente, ha attraversato il deserto ed è allo stremo. Hassanali lo salva e lo porta nella casa dell’unico bianco della cittadina, un ufficiale. Quando Pearce torna a ringraziare Hassanali per averlo salvato, incontra anche sua sorella Rehana: resta immediatamente affascinato dal suo sguardo e in questa città ai margini dell’impero, affacciata sulla costa africana dell’Oceano Indiano, nasce una storia d’amore destinata a riverberarsi per tre generazioni.
Sulla riva del mare
E’ il pomeriggio del 23 novembre. All’aeroporto di Gatwick atterra Saleh Omar. Con sé porta solo una borsa, dentro la quale c’è una scatola con dell’incenso e poco altro. Aveva un negozio, una casa, una moglie, una figlia. Ora è solo un profugo in cerca d’asilo, la sua unica difesa è il silenzio. Lo stesso giorno Latif Mahmud, poeta e docente universitario che ha scelto l’esilio, medita nel suo appartamento londinese sulla sua famiglia e sul paese, che non rivede da tempo. Per i due uomini il paradiso che hanno dovuto abbandonare è lo stesso: Zanzibar, l’isola dell’Oceano Indiano spezzata da venti che portano con sé gli aromi di mille spezie, ma anche uno straordinario intreccio di culture e di storie.