“Quello che in Italia non c’è mai stato, è una bella botta, una bella rivoluzione… c’è stata in Inghilterra, c’è stata in Francia, c’è stata in Russia, c’è stata in Germania. Dappertutto meno che in Italia. Quindi ci vuole qualche cosa che riscatti veramente questo popolo che è sempre stato sottoposto, sono 300 anni che è schiavo di tutti”
Il 29 novembre 2010, ci lasciava Mario Monicelli, uno dei più celebri registi italiani della sua epoca. Come possiamo ricordare, ricoverato in una clinica romana e consapevole di non avere speranze, egli scelse di porre fine alla sua vita gettandosi dalla finestra della stanza, al quinto piano.
Figlio del giornalista e drammaturgo Tommaso Monicelli – anch’egli morto suicida -, il giovane, dopo il liceo, si iscrisse alla facoltà di Storia e Filosofia all’Università di Pisa. Nel 1935, il regista partecipò alla Mostra del Cinema di Venezia con il film a passo ridotto “I ragazzi della Via Paal”. Dopo un periodo come aiutoregista e sceneggiatore, nel 1949, egli iniziò la collaborazione con Steno, dirigendo una serie di pellicole interpretate da attori del calibro di Totò e Aldo Fabrizi. Nel 1957, Monicelli vinse il suo primo Orso d’argento al Festival di Berlino con “Padri e figli” e, nel 1958, conseguì il Nastro d’argento per la miglior sceneggiatura con “I soliti ignoti”. L’anno successivo, invece, con “La grande guerra” – a pari merito con “Il generale delle rovere” di Rossellini – il maestro ottenne il Leone d’oro a Venezia.
Tra le sue pellicole di grande successo vanno annoverate “L’armata Brancaleone” del 1966 e “Brancaleone alle crociate” del 1969; “Amici miei” I e II, rispettivamente del 1975 e del 1982; “Caro Michele” del 1976, vincitore dell’Orso d’argento al Festival di Berlino; “Un borghese piccolo piccolo” del 1977, premiato con il David di Donatello per la miglior regia e il Nastro d’argento per la miglior sceneggiatura; “Il Marchese del Grillo” del 1981, vincitore dell’Orso d’argento al Festival di Berlino e del Nastro d’argento per la miglior sceneggiatura; “Speriamo che sia femmina” del 1985, premiato con il David di Donatello e il Nastro d’argento per la miglior regia e la miglior sceneggiatura; ” Il male oscuro” del 1990, altro David di Donatello per la miglior regia e “Cari fottutissimi amici” del 1994, che ebbe una menzione speciale al Festival di Berlino. A 92 anni, nel 2006, poi, il regista sfidò le condizioni avverse del deserto tunisino per girare il film “Le rose del deserto”.
Nel corso della sua carriera, inoltre, Monicelli fu anche candidato per sei volte al Premio Oscar – due volte per la migliore sceneggiatura originale e quattro volte per il miglior film straniero – e, nel 1991, ricevette il Leone d’oro alla carriera alla Mostra del cinema di Venezia.
Sicuramente, il maestro è stato un grande rappresentante della cinematografia italiana e, insieme a Dino Risi e a Luigi Comencini, è stato un massimo esponente della cosiddetta commedia all’italiana, che ha contribuito a far conoscere e apprezzare anche all’estero. Egli ha creato, nell’arco della sua lunga e proficua espressione, una serie indimenticabile di personaggi e con la sua opera ha descritto, con piglio amaro e ironico al tempo stesso, l’Italia e la sua caratteristica arte di arrangiarsi.