In questo colpo di coda di agosto, con l’estate che volge al termine e settembre che incomincia a disegnarsi all’orizzonte, con tutti i suoi richiami al dovere, specie per gli studenti, noi di Senza Linea vogliamo dedicare uno spazio a un poeta, tra i più grandi del Novecento, uno di quelli che proprio gli scolari che si accingono ad intraprendere l’ultimo anno di superiori si ritroveranno ad affrontare nei programmi di Letteratura italiana. Ci riferiamo a Umberto Saba, il quale venne a mancare oggi, ovvero il 25 agosto del 1957, a Gorizia, dopo un periodo di profondi patimenti psicologici e crisi depressive, le quali, invero, lo accompagnarono per tutta la vita. Egli nacque a Triste il 9 marzo del 1883 e il nome con il quale si è consegnato alla storia, in realtà, è uno pseudonimo di Umberto Poli. Pare che Saba fosse il nomignolo della sua balia, alla quale, date l’assenza del padre e una figura materna dura, fu molto legato nella sua infanzia, oppure, secondo un’altra versione, siccome in ebraico questo termine significa “nonno”, probabilmente il poeta volle omaggiare l’amato avo che, per l’appunto, era di origini ebraiche.
Nel 1910, dunque, il triestino pubblicò la sua prima raccolta di componimenti, dal titolo “Poesie”, alla quale, nel 1912, seguì “Trieste e una donna”. Successivamente, allo scoppio della guerra – egli, a tal proposito, sostenne sempre le tesi interventiste -, venne chiamato alle armi per il Regio esercito e, al rientro nella sua città natale, acquistò una libreria che gestì fino al 1938, quando vennero promulgate le leggi razziali e si vide costretto a trasferirsi in Francia. Nel secondo dopoguerra, tornato in Italia, l’autore conobbe una vera e propria affermazione: nel 1946 collaborò con il Corriere della sera, pubblicando “Scorciatoie e raccontini”, una raccolta di prose che vinse il Premio Viareggio, e nel 1948 uscì la terza edizione di quella che è la sua opera principale, “Il Canzoniere”, alla quale seguirono altre due riedizioni, una pubblicata nel 1951 e l’altra nel 1961.
Il numero delle edizioni lascia, con buona evidenza, emergere il costante lavoro di riscrittura e levigatura che il poeta operò sulle sue poesie. Per lui, non a caso, scrivere fu una necessità esistenziale, un metodo di indagine della propria interiorità dilaniata, come si diceva, da forti turbamenti. “Il Canzoniere ” è un vero e proprio viaggio introspettivo e autobiografico, nel quale bene si distingue pure un’autoanalisi pscionalitica. Tra i componimenti più celebri possiamo ricordare “Trieste”, “Città Vecchia”, “La capra”, “A mia moglie”, “La mia bambina”; tuttavia, noi vogliamo riportare qui, integralmente, due sue brevi poesie che vedono sullo sfondo proprio questa stagione, l’estate. Immergersi nelle parole di Saba, nella sua esperienza espressiva, è, sicuramente, a nostra volta, un’opportunità per riflettere, confrontarci e dialogare con noi stessi; in una parola: leggersi. Di questi tempi, poi, dove in ciò che circonda dilagano asprezze, volgarità e ostilità, c’è un disperato bisogno di Poesia, dell’esaltazione più alta del sentire umano, che nel poeta triestino ha trovato piena rappresentazione.
Meriggio d’estate
Silenzio! Hanno chiuso le verdi
persiane delle case.
Non vogliono essere invase.
Troppe le fiamme
della tua gloria, o sole!
Bisbigliano appena
gli uccelli, poi tacciono, vinti
dal sonno. Sembrano estinti
gli uomini, tanto è ora pace
e silenzio… Quand’ecco da tutti
gli alberi un suono s’accorda,
un sibilo lungo che assorda,
che solo è così: le cicale
Notte d’estate
Dalla stanza vicina ascolto care voci
nel letto dove il sonno accolgo.
Per l’aperta finestra un lume brilla,
lontano, in cima al colle, chi sa dove.
Qui ti stringo al mio cuore, amore mio,
morto a me da infiniti anni oramai