Il punto di partenza è lo stomachevole siparietto di fine partita tra Massimiliano Allegri e Paolo Tagliavento, al secolo “Taglia”: l’allenatore bianconero si congratula con il quarto uomo con un rapido dialogo troppo confidenziale per non essere sospetto e promuove l’arbitro Orsato, il carnefice del campionato 2017/18, che passerà alla storia non tanto per il settimo scudetto juventino ma per l’utilizzo del Var. Tutti a pensare: finalmente uno strumento democratico, così quelli là la smettono. Lo strumento funziona, ma poi accade qualcosa: la padrona del calcio italiano, la Juve, da tutti odiata ma da tutti anche considerata consolazione dei propri fallimenti (meglio che vinca la Juve che il Napoli, sarebbe uno smacco, pensano così i tifosi e non solo di squadre autrici di stagioni fallimentari) mette in campo i propri alfieri: prima Buffon (si proprio lui, quello della pattumiera e dell’insensibilità, quello dei diplomi falsi e dei numeri 88 sulla maglia), poi tocca alle tv, con Sky in prima fila. E allora il Var si spegne, o meglio, comincia ad essere usato ad uso e consumo e la longa mano bianconera lo spegne e Cagliari, lo interpreta a Bergamo, si rispegne a Roma, Firenze, nel derby…poi torna ad accendersi sabato. Inutile ricordare che, in occasione di un sacrosanto rigore fischiato contro i bianconeri a Madrid, i lamenti dei piemontesi hanno richiamato in vita la necessità del Var in Europa…mah. Sabato 26 aprile 2018, Inter contro Juve: l’arbitro è Orsato, il delitto è perfetto: espulsioni, ammonizioni a caso, falli non visti, immunità totale concessa a Pjianic, autore di falli da macellaio (non ce ne vogliano i professionisti della “chianina“) soto i suoi occhi: la Juve passa nel finale e mette le mani sul campionato. Un caso? Un vecchio Presidente napoletano ci aveva messo in guarda: vedrete, ci disse, che al momento giusto tireranno fuori dal cilindro il trucco (in realtà usò termini più coloriti ma non possiamo riportarli). E il trucco arrivò. Come arriva sempre. Come fu due anni fa nel derby di Torino con l’impunità per Bonucci, come a Pechino nel 2012, come nella semifinale di Coppa Italia lo scorso anno. Come lo chiamiamo questo? Senza andare a indagare sui conflitti di interessi e sui rapporti Juve-Aia, Sabato sera si è deciso il campionato. “Conta solo vincere“, se sta bene a voi, non sta bene a noi. Maurizio Sarri, dopo il pesante 3-0 subito a Firenze da una squadra ormai demotivata e stanca di dover sempre saltare ostacoli, non ha parlato della gara di sabato (a proposito: De Laurentiis, dove sei?????) ma ha detto una cosa passata forse troppo sotto silenzio: “Quando i tifosi delle altre squadre capiranno che non vinceranno mai, tutti si impoveriranno e anche i ricchi saranno meno ricchi“. Di questo passo anche i prossimi europei saranno a rischio: il sistema funziona così, a vantaggio degli interessi economici di una sola squadra. Per quale motivo un presidente di una squadra rivale dovrebbe investire sapendo che non vincerà mai e cha basta arrivare quarti per la Champions?
Quattro punti di vantaggio sul Napoli ormai certificano la fine del sogno azzurro: un combattimento durato mesi, contro un potere troppo grande, contro avversarie asservite al potere bianconero (Sassuolo, Udinese, Atalante a chissà quante ancora sono, di fatto, filiali della Juventus). Il Napoli ha sempre trovato avversari veri, ha perso, sudato, combattuto contro chiunque, anche ieri a Firenze in uno stadio che ha ringraziato la sensibilità napoletana (murales, fiori e cori per il povero Astori) augurando ai partenopei fiumi di lava, tragedie e offendendo il famoso santo protettore dei campani, chiudendo con il festeggiare il loro miserabile attuale ottavo/nono posto.
Era già cotto il gruppo azzurro, l’espulsione di Koulibaly (eroe a Torino, sfortunato protagonista ieri) ha solo accelerato il processo. Zero a tre nemmeno da commentare.
Che ne sarà del Napoli? Che ne sarà del calcio italiano? Con l’Inter probabilmente fuori dalla Champions, il Milan sanzionato dall’Uefa, la Roma anche lei alle prese con problemi di vario tipo, la Juve vincerà i prossimi 10 scudetti. A loro piace così, e così andrà: raccoglieranno allori in Italia e figuracce all’estero, certificheranno la loro superiorità appellandoci piagnoni e perdenti.
Quello che resta è la romantica idea di questo Napoli. Maurizio Sarri è l’ultima speranza dell’umanità calcistica italiana: continuamente punzecchiato dalle tv filojuventine, pronte ad umettare le parti meno nobili dei protagonisti in maglia bianconera, e dai giornali anche loro asserviti al grande potere, ma oggi buoni solo altri usi, ha mostrato coraggio, idee e regalato all’insopportabile Allegri un anno di ansie da prestazione. E’ lui la speranza per il futuro del calcio azzurro, è a lui che tutto il popolo si aggrappa, supplicandolo di restare.
Non ce ne voglia Mel Gibson ma ci sentiamo di salutare così, parafrasando Braveheart, uno dei più bei campionati disputati dal Napoli nella sua storia: “Nell’anno del Signore 2018, patrioti napoletani affamati e soverchiati nel numero, sfidarono il campo di Firenze. Si batterono come poeti guerrieri. Si batterono come partenopei e si guadagnarono la libertà“, oltre che il nostro GRAZIE.