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© 2022 Senzalinea testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Napoli n. 57 del 11/11/2015.Direttore Responsabile Enrico Pentonieri
Libri

ANDREA TARABBIA VINCE IL PREMIO CAMPIELLO

Cristiana Abbate
Cristiana Abbate 6 anni fa
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9 Min Lettura
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Il vincitore della 57^ edizione del Premio Campiello 2019 è ANDREA TARABBIA con “Madrigale senza suono”, la Giuria Popolare di Trecento Lettori Anonimi ha assegnato 73 voti sui 277 allo scrittore di Saronno.

La cinquina dei papabili vincitori era formata oltre che da Tarabbia, da: Giulio Cavalli, arrivato secondo  con l’opera ‘Carnaio’ a cui sono stati riconosciuti 60 voti; terzo Paolo Colagrande con ‘La vita dispari’, con 54 voti; Laura Pariani con ‘Il gioco di Santa Oca’ con 52 voti è quarta e quinto e ultimo, Francesco Pecoraro, con ‘Lo stradone’, con 38 voti.

Lo scrittore di Saronno, nel 2016 vince il Premio Letterario Alessandro Manzoni – città di Lecco con il romanzo Il giardino delle mosche: vita di Andrej Čikatilo, con cui è entrato anche nella selezione Premio Campiello del 2016. È stato redattore del sito di promozione della letteratura italiana all’estero Books in Italy.

Lo scrittore, parlando del suo libro e del protagonista ha ammesso di essere affascinato dalle figure estreme, da quei personaggi che portano alle estreme conseguenze comportamenti umani, nel bene e nel male: “Il fascino di Gesualdo sta, in parte, nell’essere sempre in balia degli eventi. Non decide quasi nulla di sua spontanea volontà: non sposa chi vuole, viene orientato dalle convenzioni del tempo a fare un omicidio, si risposa con una ferrarese di cui non gli importa nulla. E’ un principe, ma non decide nulla. Però a cena con Gesualdo non so se ci andrei”. 

Inoltre, pare esserci un certo interesse per una trasposizione cinematografica.

 

Di seguito le sue principali opere.

 

La calligrafia come arte della guerra

In una scuola posta al confine tra due stati in guerra, alcune bambine imparano “l’arte del messaggio, della disciplina e dell’amor patrio” calligrafando messaggi bellici sopra le testate dei missili. Sono orfane di una guerra di cui non si vede la fine, e le guida un maestro di calligrafia dal passato oscuro, Horatio. Sotto la scuola e la città che la ospita – il cui nome non è mai rivelato – c’è una seconda città speculare alla prima e le cui pareti sono dipinte di vernice al fosforo. Come in una spietata partita a scacchi, gli abitanti della città attendono la prossima mossa dell’avversario: un missile inoffensivo, che una notte porta al di qua del confine un misterioso messaggio. Il compito di interpretarne il contenuto è affidato a Horatio, ma non tutto andrà come dovrebbe.

 

Marialuce

Arturo Bergia è un compositore classico in crisi. Per rilanciarsi, dovrà comporre una sonata per pianoforte. Ma la sua è una crisi creativa profonda, senza soluzione, tanto insormontabile da essere quasi fisica. “Sono una balena morta. Sono un occhio cieco”, ripete. Sotto lo sguardo vigile di sua moglie, la Marialuce che narra la storia del suo annientamento, il Maestro percorrerà un ripido declino verso la follia, tra sinestesie assordanti e mutilazioni reali. Andrea Tarabbia, nel suo stile asciutto e analitico, ci racconta con questa suite narrativa senza tempo un’emblematica storia di violenza domestica, di amore asettico che consuma, in un’intimità che si scompone preparandosi a un olocausto finale. Un libro in cui la passione si trasforma nella devozione di Marialuce, e l’abnegazione nell’impossibilità d’amare questo Grande Compositore Decaduto.

 

Il demone a Beslan

Marat Bazarev è quello che è sopravvissuto e sopravviverà.
È l’uomo che, con i suoi compagni, una mattina di sole di settembre è entrato nella scuola numero 1 di Beslan. E lì ha dato inizio alla fine. 334 morti, di cui oltre la metà bambini: questo il bilancio dei tre giorni di sequestro in cui più di mille persone sono state tenute in ostaggio da un commando di separatisti ceceni. Marat è l’unico fra gli attentatori a essere uscito vivo dalla scuola, catturato dalla polizia russa e imprigionato in un carcere di massima sicurezza a Mosca. E qui, chiuso in una cella gelida e isolata, scrive la sua ultima confessione. È pronto ad assumersi la responsabilità che gli spetta, ma ha anche un’urgenza più forte: raccontare la sua storia.
È così che comincia: con Marat e il suo migliore amico Shamil seduti sull’erba di un anfiteatro in un pomeriggio di pace, con Shamil che ridendo si allontana nella boscaglia e dopo pochi passi lancia un urlo terrificante. Nascosti sotto un mucchio di pietre e frasche trovano sette corpi straziati: è il primo segnale. A casa li attende un villaggio saccheggiato e deserto, le porte delle case spalancate e nessuno dei familiari e degli amici.
È così che comincia: Marat in quel pomeriggio terribile capisce che non esiste più una legge e nemmeno le regole, che non c’è onore né coraggio, ma solo paura. E allora si unisce ai guerriglieri in montagna, e con loro si prepara a un’azione in grado di rimbombare da un capo all’altro del mondo. È così che comincia: in un giorno di festa pieno di fiori, in una scuola alla periferia del Caucaso e del mondo.
Facendosi carico di tutto il peso e la colpa della voce di Marat, Andrea Tarabbia immagina una storia di vento, fango, sangue e vendetta, la storia di un’amicizia che resiste a tutti gli orrori. Con delicatezza e profondità, racconta il viaggio dentro il male nella sua forma più umana e disperata, a confronto con i demoni che terrorizzano l’Occidente. E lo fa con una forza che non si dimentica.

 

La ventinovesima ora

Papa Bendetto XVI si è dimesso. Il suo successore ha scelto il nome di Martino VI. Eppure la presenza di Benedetto continua ad agitare le stanze del Vaticano e tormenta Martino… Dalla penna di uno dei giovani autori più interessanti d’Italia un lungo racconto che mischia con coraggio realtà e finzione, in un crescendo avvincente e inquietante, carico di turbamento e mistero.

 

Il giardino delle mosche. Vita di Andrej Cikatilo

Tra il 1978 e il 1990, mentre in Unione Sovietica il potere si scopriva fragile e una certa visione del mondo si avviava al tramonto, Andrej Cikatilo, marito e padre di famiglia, comunista convinto e lavoratore, mutilava e uccideva nei modi più orrendi almeno cinquantasei persone. Le sue vittime bambini e ragazzi di entrambi i sessi, ma anche donne – avevano tutte una caratteristica comune: vivevano ai margini della società o non si sapevano adattare alle sue regole. Erano insomma simboli del fallimento dell’Idea comunista, sintomi dell’imminente crollo del Socialismo reale. Questo libro, sospeso tra romanzo e biografia, narra la storia di uno dei più feroci assassini del Novecento attraverso la visionaria, a tratti metafisica ricostruzione della confessione che egli rese in seguito all’arresto. E fa di più. Osa raccontare l’orrore e il fallimento in prima persona: Cikatilo, infatti, in questo libro dice “io”. È lui stesso a farci entrare nella propria vita e nella propria testa, a svelarci le sue pulsioni più segrete, le sue umiliazioni e ossessioni. “Il giardino delle mosche” è un libro lirico e crudele allo stesso tempo: la storia di un’anima sbagliata, una meditazione sul potere e la sconfitta e, soprattutto, una discesa impietosa fino alle radici del Male.

Madrigale senza suono

Racconta  il Principe Carlo Gesualdo da Venosa, autore di famosi madrigali tardo-cinquecenteschi (e assassino delle moglie) e Igor Stravinskij, il maggiore compositore novecentesco. Il romanzo si articola lungo due libri: uno che tratta della vita di Gesualdo e delle criminose vicende storiche che lo videro protagonista, la cui esistenza è posta in dubbio dal lettore Stravinskij. L’altro libro nella finzione narrante è di pugno di Stravinskij, che commenta i passi letti, impegnato ad ammirare ed elaborare i madrigali di Gesualdo.

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Cristiana Abbate Set 24, 2019
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Pubblicato da Cristiana Abbate
Veterinaria pentita e mamma convinta.Si ritiene propositiva e per nulla diplomatica .Grande appassionata di viaggi e divoratrice di libri. Malata di shopping e con il conto in banca fisso sul rosso.
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