L’arriffatore: organizzatore di riffa. Era un personaggio molto noto a Napoli fino agli anni ’80.
Il mestiere dell’arriffatore era un ricordo della dominazione borbonica a Napoli, infatti, “riffa” in spagnolo significa “sorteggio”
La riffa era un piccolo gioco come quello del lotto: si vendevano novanta numeri e così facendo si permetteva di vincere qualche premio che poteva variare dal cibo all’abbigliamento, a tutto quello che serviva per il cenone di Natale o di Pasqua.
La riffa di solito era più ricca, quindi più appetibile per il popolo, in prossimità delle feste o in prossimità del periodo degli sposalizi, delle comunioni o quando i prodotti messi in palio avevano prezzi che non potevano essere comprati sul mercato se non in piccole quantità.
L’arriffatore girava per il quartiere dove era conosciuto ed era molto importante escludere dalla riffa i parenti per non far nascere “chiacchiere” in caso di vincita. Portava con sé un grosso tabellone con i novata numeri a ognuno dei quali associava il nome del giocatore che lo aveva comprato . Di solito viste le cose che venivano messe alla riffa, i numeri venivano venduti presto quindi intorno a mezzogiorno, si metteva sopra a qualcosa, vuoi una sedia, o una botte, insomma sopra qualcosa che lo ponesse al di sopra dei presenti per farsi vedere richiamando l’attenzione di tutti con voce squillante. Posizionava il cartellone in maniera tale che tutti potessero vederlo e iniziava a tirare i numeri dal panariello, quello che si usava per la tombola. Poi rovesciava sulla mano sinistra il numero che diventava il primo estratto e assegnava il premio più importante a chi lo possedeva. Normalmente l’arraffatore era spesso un femminiello (travestito).
Il personaggio del femminiello viene ricordato a volte anche tra i pastori del presepe napoletano e la tradizionale riffa popolare viene ricordata oggi come “la tombola dei femminielli“.
Quando i vincitori erano presenti, i premi venivano consegnati subito, altrimenti si provvedeva ad avvisarli. dato che sulla matrice del biglietto veniva annotato anche nome e cognome.
Oggi esercitare questo mestiere è considerato un reato e punito con una multa che va da 51 a 516 euro.