L’arte e l’ingegno,da sempre,sono stati i principali vanti del popolo napoletano,anche quando il lavoro scarseggiava,il partenopeo sapeva come raggranellare un pò di denaro,per sfamare la famiglia,sempre più numerosa.Fra gli antichi mestieri troviamo il Franfellicaro,il classico venditore ambilante di dolciumi.Gioia di grandi e sopratutto dei bambini,l’etimologia della parola,forse,deriva dal greco pompholux: Bolla d’aria. Evidentemente si voleva indicare così,la leggerezza di quei “pezzetti di mielazzo” come li definì un cronista nel 1847,esposti in una sporta ricurva. Le vecchie caramelle partenopee venivano ricavate tagliando in piccoli rettangoli,un impasto di sciroppo zuccherino solidificato e miele.I famosi “franfellicchi“.Come nella migliore tradizione ambulante,il nostro Franfellicaro,fischiava per richiamare l’attenzione dei clienti,e quando aveva abbastanza soldi per permettersi una bancarella, utilizzava luminose lanterne,per illuminare l’offerta notturna.A metà Ottocento,però,Emmanuele Rocco già si avvale della decadenza del Franfellicaro,provocata dall’invasione dei dolci sicialiani,che “vennero come stormo di uccelli rapaci”.Per ospitare la nuova moda “siciliana” le sporte ricurve furono sostituite da tavolini quadrati portatili.Anche il grido dei venditori cambiò,da “I zucchere janche,i melle, re calle i o” (Di zucchero bianco tre calle uno) a “Tre na caramella,no rà quattro caramelle“. Emmanuele Rocco,che esaltava le virtù teraupetiche delle franfellicche “buon lassativo per tosse”, descrive anche alcuni giochi organizzati dal venditore per incrementare la clientela. Uno di questi era di indovinare se le gustose caramelle contenute nel pugno del venditore,erano di numero pari o dispari.Un altro di aspettare che una mosca si posasse su una caramella,per indicare il vincitore della scommessa.