E’ allestita nelle sale del Museo Diego Aragona Pignatelli Cortes, in via Riviera di Chiaia 200, a Napoli, la mostra dal titolo “Attraversamenti tra arte e fotografia”, curata da Anna Imponente, in accordo con la Fondazione Michetti, fino al 3 novembre 2019. E’ un corpus di 40 fotografie che hanno partecipato alla 70° edizione del Premio Michetti, tenutasi al MuMi di Francavilla al Mare, curata da Anna Imponente e Claudio Cerritelli. Fotografi che usano il mezzo con incontestabile artisticità, dai consolidati Paolo Mussat Sartor, Cristiano Berti, Antonio Biasucci e Claudio Palmieri, si affiancano Davide Bramante, Silvia Camporesi, Lucia Crisci, Letizia Marabottini e Anna Ricca. Dagli artisti italiani a quelli internazionali, con le opere di Rafael Yossef Herman, Sandy Skoglund, Robert Polidori, Maimouna Guerresi, Mohamed Keita, Qiu e Zeng Han. Artisti che mettono in discussione la categoria di ripresa, aprono a nuove letture di oggetti, gesti e situazioni, destreggiandosi ad interpretare quanto ci circonda. Ed è un percorso espositivo che innesca interessanti spunti di riflessione, se l’essenza del ritratto non si separa dal senso patetico della trasformazione dell’esistenza, Cristiano Berti, con le indagini sulle “anime pezzentelle” nel Rione Sanità a Napoli raggiunge la saturazione del limite estremo, la consunzione agghiacciante della fine.
“Ire tacere Ostendere”- Cristiano Berti.
Per esprimere la sua incombenza e il concetto di tempo, il progetto intellettuale di Paolo Mussat Sartor cattura l’immagine dell’ingranaggio dell’orologio in “Il tempo scorre veloce”, per memorizzarne l’intensità. Nello scatto “Penso spesso alla morte”, offre un quieto paesaggio dell’infinito, come un dittico della negazione mitica del finis.
“Il tempo scorre veloce”- Paolo Mussat Sartor.
La malinconia della fotografia, l’esperienza della parentesi in cui l’opera si presenta spazialmente e temporalmente immobile, come uno spettro, sembra l’attrattiva degli oggetti colti dall’obiettivo di Silvia Camporesi.
Pianosa, (il biliardino del carcere) della serie “Atlas Italiae”- Silvia Camporesi.
Accompagnata dalle azioni della luce e dell’ombra, l’immagine di Antonio Biasucci raccoglie l’enigma di un gesto che in un istante sfiora il lembo di una superficie e lo dirige altrove, in preda a una agitazione interiore. La foto contemporanea esprime un proprio significato, un proprio linguaggio e una propria grammatica visiva.
Antonio Biasucci.
Della possibile identità di un uomo resta solo l’inquadratura tagliata dalle scarpe di gomma su un lastricato sconnesso, ma è la fasciatura alla caviglia a creare il punctum su cui ci fa riflettere Mohamed Keita.
“Mogoya”- Mohamed Keita.
L’osservazione del tessuto urbano, traccia di un protocollo sociale di integrazione, conduce Letizia Marabottini in “Mi chiamo Sinta e vengo dall’Africa”, a fissare l’immagine di un ragazzo nell’impersonare la maschera dei personaggi celebri del mondo civilizzato.
“Mi chiamo Sinta e vengo dall’Africa”- Letizia Marabottini.
L’esperienza nuova conduce Robert Polidori nella “devotion abandoned”, nelle chiese abbandonate a Napoli. In fotografia la realtà si nutre delle architetture, dei paesaggi e degli individui. La trasformazione dei luoghi evoca la memoria di come erano, mostrando il lento declino del fervore religioso, trasferisce un aspetto emozionale su di essi, con effetti di spaesamento che incidono sulla cattiva coscienza con chi ne entra in relazione.
“Piscina mirabilis”- Robert Polidori.
La poetica dei muri scrostati evidenziano sincerità e immediatezza espressiva negli scatti con il cellulare di Anna Ricca, realtà entusiasmante dell’attimo, sequenza che si candida a diventare eternità.
“Equilibrio”- Anna Ricca.
La fotografia comunica con l’immagine nel silenzio. In questa immobilità, la figura di spalle al paesaggio naturale di Elina Brotherus misura la densità dell’abbandono, restituendo una visione metafisica e romantica. Sembra di assistere ad una interpretazione in chiave fotografica del dipinto “Viandante sul mare di nebbia” di Caspar David Friedrich. Sia Davide Bramante che Rafael Yossef Herman esprimono il dasein dell’artista, attingendo alla filosofia di Kant ed Heidegger, con una attenta indagine sul colore per il primo e sulla luce per il secondo.
“Carmina flos”- Herman.
Un simile vocabolario visivo è usato su sponda cinese da Qiu e Zeng Han. Il rapporto con la pittura tradizionale e la sua ripartizione in temi legati al paesaggio sembra come deciso dai colpi del pennello intinto nell’inchiostro che determinano le curvature nere dei tronchi e la neve in contrasto, il lirismo delle volute di fumo, le messe a fuoco con angolature decentrate, tra disordine e azzardo.
“Song Huizong’s pine #7”- Zeng Han.
Un percorso al contrario per Claudio Palmieri che, allineando architetture vegetali sospese nel vuoto e organizzate in sequenza attraverso lo spazio, rende decorativa la natura per uno stretto controllo del calcolo.
“Caleidoscopio”- Claudio Palmieri
La fotografia si ispira al teatro o al cinema con un certo feticismo della tecnica, della sua potenza nel sorprendere. Con una evocazione e allusione alla teatralità primitiva, emanazione del valore primario dell’illusione della realtà, la bellezza fiabesca degli attori irrigiditi da Sandy Skoglund, sono i protagonisti passivi in pose sceniche. Il tempo si è fermato ed emergono una serie di ambientazioni oniriche e surreali.
“Revenge of the Goldfish”- Sandy Skoglund.
Maimouna Guerresi allestisce scene con regole strutturali per dimostrare la verità enfatica e universale di una umanità sospesa tra colpa e redenzione.
“Blue trampoline”- Maimouna Guerresi.
Lucia Crisci con la messa in posa trasforma il soggetto in oggetto e l’azione consiste nel passaggio all’immobilità di piani di lettura sovrapposti. Altri artisti presenti nel percorso espositivo sono: Anna Valeria Borsari, Carola Ducoli, Nataly Maier, Cinzia Naticchioni Rojas e Mara Pepe.
La fotografia come richiamo alla visionarietà e a una controllata digressione sul sogno, può plasmare quanto è “disperatamente inerte e disponibile” nella realtà. Ma il kairos, il momento giusto può deciderlo solo chi ha l’intuito di distinguere quell’irripetibile momento. Riconoscerlo, è questo il punto, è celata parte della sua genialità.