Lo spazio Lafayette-Drouot, nel nono arrondissement di Parigi, si afferma sempre di più come un nuovo polo per l’arte contemporanea. Dal 12 maggio 2020 ospita la mostra “The world of Bansky: The Immersive Experience”. Per ovviare alle chiusure imposte dalla crisi sanitaria, questa magnifica esposizione dedicata all’opera del writer, scultore e regista inglese Bansky viene ora prolungata fino al 31 dicembre 2020. Più di mille metri quadri accolgono un centinaio di opere a grandezza naturale, circa la metà provengono da collezioni private, le altre sono ricostruzioni affrescate da un collettivo di artisti giunti da tutto il mondo. Anche loro, come Bansky, hanno preferito restare anonimi: “Una quindicina di rappresentanti della street art venuti dal mondo intero hanno realizzato questa mostra con bombolette e stencil, e forse, tra loro, c’era anche Bansky. – afferma il responsabile dello spazio espositivo Haziz Vardar – Non posso rivelarvelo perché nessuno sa chi è Bansky”.
È strano. Tutti conoscono il suo nome, tutti conoscono almeno una delle sue opere, ma nessuno sa chi sia. Certo, questo si può dire di molti: è più facile conoscere il nome e il lavoro di una persona che intenderne l’identità. Ma con Banky la questione diventa radicale perché la sua fama e i suoi lavori hanno davvero una dimensione mondiale. Ed è questo uno dei punti interessanti della mostra: vedere tutte queste opere insieme sarebbe impossibile e ammirarle separatamente implicherebbe un giro del mondo. Dovremmo andare a Londra per guardare “Kissing Coopers”, il bacio proibito tra due gendarmi inglesi; raggiungere New York per vedere “Graffite is a crime”, in cui viene ritratto un bambino intento a salire sul dorso di un altro, per disegnare un graffito di cui, paradossalmente, denuncia il carattere criminale. Dovremmo viaggiare fino al muro di Betlemme, per vedere il suo “Love is in the air”, in cui un giovane mascherato lancia un mazzo di fiori, come un invito alla pace in una terra da sempre teatro di conflitti. Dovremmo infine raggiungere il Bataclan per vedere “La porte de Banksy”, comparsa sull’ingresso del locale tre anni dopo gli attentati.
Il filo narrativo delle opere di Bansky sono gli uomini, il mondo e la loro relazione. La sua produzione risulta così intrisa di realismo. Non solo nei messaggi politici e sociali che esprime, ma anche nella scelta della strada come luogo di esercizio della propria arte. Banksy scompagina tutto ciò che di elitista c’è nella pratica dell’arte; la trascina nel decoro urbano, sui tombini, sui pullman e sui muri della città. “Banksy è un artista così eccezionale – afferma Haziz Vardar – che non potevamo dedicargli una mostra tradizionale con solo quadri incorniciati”. E infatti, le pareti in pietra viva, le travi neri e le luci fredde si uniscono al suono di sirene della polizia, di elicotteri e di rumori cittadini, per creare quell’atmosfera metropolitana che è parte integrante delle sue opere. A guidare il visitatore nelle zone d’ombra, ci sono zampe di ratto, emblemi di una cultura che si vuole underground, del sottosuolo. Tutta la mostra, cosi adibita, presenta una nota angosciante come i criteri che, secondo l’artista, guidano le logiche capitaliste.
Questa mostra immersiva si chiude con una selezione di filmati divertenti, girati sui ponti della Senna. Si osserva l’artista che cerca di vendere alcune opere per una sessantina di euro ciascuna. Tuttavia, solo una dozzina di acquirenti s’interessa alle sue creazioni. Eppure, Bansky è uno degli artisti più pagati al mondo. Ricordate l’autodistruzione dell’opera « Girl with Balloon » nel 2018 ? Il quadro era appena stato venduto dalla sede londinese della casa d’aste Sotheby’s per 1,4 milioni di sterline. In pochi secondi, la parte inferiore è stata lacerata e il suo valore è raddoppiato. La beffa sembra rivolta proprio al carattere borghese dei collezionisti pronti ad investire somme esorbitanti per possedere opere accessibili gratuitamente per strada. Questa geniale operazione di marketing è infatti portatrice di un messaggio prezioso per Bansky che sostiene: “fuori è dove dovrebbe vivere l’arte”.