Dallo scorso 15 febbraio, il browser Chrome di Google bloccherà automaticamente alcuni tipi di pubblicità online particolarmente “intrusiva” con l’obiettivo di rendere la navigazione in rete più scorrevole. Ma non basta, Chrome bloccherà tutta la pubblicità dei siti che non rispettano le regole definite dalle associazioni di pubblicità. Il colosso di Mountain View ha descritto questa piccola rivoluzione come uno sforzo per liberare internet da spam e pop-up che rendono la navigazione su alcuni siti impossibile.
Ma sono in molti a contestare a Google le modalità con cui ha definito i “protocolli” e standard per “salvare” o “scartare” una determinata pubblicità. Il Wall Street Journal afferma che secondo alcuni l’azienda stia semplicemente cercando di salvaguardare i propri interessi convincendo gli inserzionisti a preferire Google perché meno propensa all’utilizzo di “ad blocker” cioè quelle piccole app che integrandosi al brwser, riescono a bloccare la maggior parte della pubblicità .
E’ da ricordare che Chrome è usato dal 59% degli internauti e che, per Google, la pubblicità è la maggiore fonte dei suoi guadagni. Lo scorso anno infatti la sua pubblicità ha generato circa 95 miliardi di dollari . Se si tiene presente che ogni 10 dollari spesi per annunci sul web, 3 vanno al colosso internet non è difficile pensar male….anzi.
Sull’argomento è già intervenuto l’avvocato Gary Reback. Reback è un famoso avvocato della Silicon Valley specializzato in antitrust che ,alla fine dello scorso millennio, indusse il Dipartimento di giustizia americano ad intentare una causa contro Microsoft accusato a suo tempo di essere in posizione di monopolio e di compiere pratiche scorrette in favore di Windows e di Internet Explorer (il suo sistema operativo e il suo browser n.d.r.).
Reback rappresenta legalmente una società che programma ad-blocker e che già si è lamentata con le autorità Antitrust europee per il comportamento di Google. Secondo Reback “Google sta utilizzando la sua forte posizione nel mercato dei browser per impedire agli utenti di usare app di parti terze che bloccano le pubblicità che Google vuole per generare profitti”. Google dal canto suo ha rispedito tutte le accuse al mittente precisando di far parte di un gruppo di inserzionisti, editori e gruppi tech che ha stabilito quali sono le pubblicità più fastidiose per gli utenti e che fanno decidere a questi ultimi di adottare un ad-blocker.
Una portavoce di Google ha riferito che la società “resta impegnata nel tentativo di migliorare l’esperienza online legata alla pubblicità, lavorando in collaborazione con l’industria pubblicitaria” attraverso la coalizione annunciata alla stampa nel settembre 2016. Secondo le fondi del Wall Street Journal , è Google a determinare le regole di questa “coalizione”, e onestamente non è difficile crederlo.