Il 1° giugno ci ha lasciati Joseph Zoderer, lo scrittore altoatesino aveva 86 anni.
Si è occupato, nei suoi romanzi, della difficile convivenza tra tedeschi e italiani, ha vinto diversi premi letterari rinomati, nel 2015 ha ottenuto il conferimento della cittadinanza onoraria da parte della città di Merano e lo scorso febbraio, assieme all’alpinista Reinhold Messner e alla giornalista Lilli Gruber ha ricevuto ad Innsbruck l’onorificenza del Land austriaco del Tirolo.
La felicità di lavarsi le mani
“La felicità di lavarsi le mani”, pubblicato per la prima volta in Italia nel 1987, è il primo romanzo di Zoderer nel quale s’intrecciano già tutti i temi che l’autore altoatesino svilupperà nelle opere successive: i conflitti etnici, il concetto di patria. Ambientato durante gli anni della seconda guerra mondiale, il libro ha come protagonista un ragazzino che dall’Austria si reca in Svizzera dove ha ottenuto il privilegio di studiare in un collegio, perché figlio di un operaio. In una scrittura asciutta e pulita, lo scrittore descrive la sua solitudine lontano da casa, la vita grama e fatta di stenti che lo costringe a rimanere lì anche d’estate.
L’«italiana»
“Die Walsche” – titolo originale di questo libro che ha decretato il successo di Zoderer, scrittore italiano di lingua tedesca – è la parola, non priva di disprezzo, con cui in Sudtirolo i tedeschi definiscono gli italiani.Olga è la Walsche di questo romanzo, una ragazza tedesca sudtirolese, nata in un aspro paese di montagna e cresciuta in un clima di diffidenza e di esasperato campanilismo, che un giorno lascia la sua terra e va a vivere in città, dove si innamora di un meridionale, Silvano.Una colpa e, per molti dei suoi compaesani, un tradimento. Il ritorno alla terra d’origine, il giorno del funerale del padre, metterà a nudo la lacerazione di Olga, divisa tra le due realtà profondamente diverse, tedesca e italiana, e alla ricerca di un’identità nuova da scoprire giorno per giorno.A rendere il personaggio di Olga vivo e toccante (ma non bisogna dimenticare la calda espressività degli altri personaggi, il padre innanzitutto, la sua nuova compagna, il fratellastro minorato, e la piccola fauna dei paesani) è la scrittura tagliente di Zoderer: il suo romanzo così doloroso e profondamente civile, non prive di cadenze poetiche, è anche il racconto di un dramma politico e storico che forse un giorno troverà la sua soluzione nella tolleranza e nel rispetto reciproco.
La notte della grande tartaruga
Un lungo viaggio in autobus attraverso il Messico, l’incontro con Nives, una passione profonda ma che pare destinata a durare lo spazio di una notte. E invece la donna torna a farsi viva, coinvolgendo Loris in un gioco dai confini incerti; così come incerta e imprendibile appare la realtà di Hermosillo, di Tapic, di Santa Cruz, dei poveri contadini messicani e degli “hippies” americani perennemente “fumati”: i morti di Città del Messico ci sono stati davvero? quei rumori notturni da cosa erano provocati? e la donna gettata brutalmente dal camion, chi chiamava e chi era?Certo non a caso “La notte della grande tartaruga” si ricollega tematicamente a “Blow-up” di Michelangelo Antonioni, uno dei film simbolo degli anni sessanta, con quel cadavere che forse non c’è, con i mimi che giocano a tennis senza racchette e senza palline. Il nuovo romanzo di Joseph Zoderer non offre appigli o certezze, è intriso dalla voglia di smarrirsi, dal bisogno di oltrepassare limiti umani e geografici, e al tempo stesso dal desiderio di rapporti chiari. Il Messico, e il viaggio, divengono così il luogo di una libertà ambigua e sempre minacciata, dove le regole di vita tradizionali sono sospese, dove tutto è possibile e su niente e nessuno si può fare affidamento.
Il silenzio dell’acqua sotto il ghiaccio
Alcune voci interiori si insinuano qua e là, nelle pagine di questo romanzo in forma di versi sciolti, perseguitando Lukas, il protagonista. Egli le teme, quasi fossero poliziotti che indagano su un delitto, oppure osservatori curiosi e beffardi che lo costringono a scavare nel suo animo. Ma Lukas rifugge da ogni approfondimento. Eppure, “nulla gli incuteva maggior timore del silenzio dell’acqua sotto il ghiaccio”: curioso sentimento – se trasferiamo questa immagine naturale all’universo psichico – per chi vorrebbe tuffarsi nella corrente della vita, abbandonarsi all’estro del momento, all’immediatezza, possedere il mondo attraverso i sensi, fermarsi alla superficie delle cose. Sensibile ai minimi dettagli, odori, colori, rumori, Lukas osserva in continuazione oggetti, gesti, comportamenti che finiscono per opprimerlo. Inquieto alla ricerca di un nuovo senso della vita, il protagonista gira a vuoto intorno a se stesso, in attesa che la redenzione venga dall’esterno, dall’amore che tutto dovrebbe trasformare. Lukas fugge dalla moglie Livia per inseguire un’introvabile amante – anche lei una fuggitiva per vocazione – incontra la prostituta Gianna, sosia o alter ego di Johanna, e trascorre con lei una notte d’amore liberatoria. Infine “con quella mancanza di forze che ci rende pronti a tutto, anche a un abbraccio”, ritorna a casa. La sua fuga è un intreccio inestricabile di realtà, ricordi, sogni e visioni che ci portano continuamente in luoghi e tempi diversi: tra coste assolate e piogge scroscianti, tra il presente e numerosi livelli del passato, con uno sconcertante effetto di disorientamento. Un’umanità oscena e grottesca che fa da contrappunto a poetiche creature naturali, ai grigio-azzurri colombi di cui brulica una piazza fino a sembrare un lago, ai rondoni che intrecciano voli augurali nel cielo, creature predilette da Lukas, con le quali egli tenta a volte di identificarsi anche fisicamente, imitandone i movimenti.
L’altra collina
Un’indomabile e crudele ambivalenza attraversa ogni pagina, quasi ogni riga, di questo romanzo di formazione fino a sfociare in un assurdo gioco di seduzione e ripulsa. Dove due amanti compiono a turno i rituali imposti loro dall’onnipotenza di un solipsismo che li imprigiona. Zoderer sembra quasi sdoppiarsi in spettatore imparziale dei propri interiori naufragi: è il passato, non il futuro, che prende forma di volta in volta nelle pieghe di un corpo e nella rapace intensità di uno sguardo. Con un linguaggio freddo e ossessivo, incalzante e a tratti visionario, l’autore dà voce al fatale intreccio di fantasmi e conflitti, di intenzioni impedite e ripetuti smarrimenti, che si nasconde nei bui recessi del nostro “sottopelle”. L’aspra forza espressiva, che è la peculiarità di uno stile ormai inconfondibile, riesce ancora una volta a trasformare frammenti di realtà quotidiana in piccoli specchi in cui il mondo onirico può riflettersi e baluginare dinanzi ai nostri occhi.
Il dolore di cambiare pelle
Jul lascia il Sudtirolo diretto ad Agrigento, città natale della moglie Mara. Afflitto per la tragica morte dell’unica giovanissima figlia, vuole fare, una volta per tutte, i conti con il passato. Figlio di un seguace di Hitler, Jul, convertitosi al socialismo rivoluzionario, aveva incontrato Mara, anche lei militante nelle fila dell’estrema sinistra benché figlia di un gerarca fascista, durante l’esplosione sessantottina. Con uno stile malinconico ed elegiaco, il protagonista rievoca i loro destini simmetrici e la storia del loro amore fino al progressivo distacco e, meditando sulla cupa ombra proiettata dai loro genitori, ricostruisce il periodo più oscuro del Novecento.