Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli rende omaggio an Enrico Caruso attraverso una mostra che racconta la sua esperienza negli Stati Uniti, il suo rapporto con i media, con la cultura partenopea e con l’emigrazione d’inizio secolo. Il percorso espositivo, curato da Giuliana Muscio con la consulenza musicale di Simona Frasca, è visitabile fino al 22 aprile 2022. Nel centenario della scomparsa, vengono messi in mostra più di 250 scatti, registrazioni audio originali, testimonianze cinegiornalistiche e un documentario di Giuliana Muscio. “Enrico Caruso: The Greatest Singer in the World” – proiettato quotidianamente alle 12.00, alle 16.00 e alle 18.00 – raccoglie materiale inedito per raccontare il vissuto artistico di una figura emblematica dell’opera d’inizio secolo.
Settimo di dieci figli, Caruso muove i primi passi nell’arte del Bel Canto esibendosi con il coro della parrocchia. Come suo padre, inizia a lavorare all’età di 10 anni come meccanico, poi come operaio in una fabbrica di tessuti. Trascorre il tempo libero interpretando canzoni popolari nei ristoranti della città. Nel 1895 debutta ne L’Amico Francesco di Domenico Morelli. Alcuni impresari lo notano e gli assegnano un ruolo nella Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni. Seguono ruoli nel Faust di Charles Gounod, nel Rigoletto e ne La traviata di Giuseppe Verdi.
La sua voce calda e possente si diffonde ben presto oltre le frontiere. Nel 1902, Caruso canta al Covent Garden di Londra poi negli Stati Uniti, dove rimane memorabile l’esibizione senza microfono allo Yankee Stadium di New York.
L’artista napoletano è una delle prime stelle della registrazione fonografica: la prima, su grammofono, avviene l’11 aprile 1902 in una stanza d’albergo di Milano. Complici anche la registrazione di alcune arie popolari italiane e americane – come “Over There” di George M. Cohan e “ O sole mio” – e la partecipazione al film “My Cousin” di Edward José, la sua voce arriva al grande pubblico. La sua popolarità si estende oltre le sfere privilegiate ed esclusive della musica classica e Caruso diviene un tenore rispettato nel mondo dell’opera lirica, ma anche adorato da chi non vi ha accesso.
Nel 1903, riceve il plauso della critica per il ruolo nel Rigoletto al Metropolitan Opera di New York. Da allora, Caruso diviene per i giornali “Il grande Caruso” (“The Great Caruso”). Cinema, radio, fonografo, riviste, libri e giornali: il suo nome e la sua voce dominano i media statunitensi dell’inizio XX secolo. Figura chiave della società americana, appare spesso sulle pagine di carta stampata, in particolare nella pubblicazione italo-americana La Follia di New York, dove disegna caricature. Il Washington Post del 1996, lo annovera tra i personaggi più influenti del millennio, affianco a Michelangelo.
Voce leggendaria, artista d’avanguardia dell’industria discografica, Enrico Caruso prevede di ritirarsi dalla scena a cinquant’anni. Nel libro L’arte di cantare, scritto a quattro mani con Luisa Tetrazzini, si legge: « Passati i cinquant’anni, si ha il diritto d’interrompere la propria carriera. Un grande artista deve avere la dignità di dire addio al suo pubblico quando è ancora nel pieno possesso delle sue capacità”.
Il 2 agosto 1921, Caruso viene portato via a soli 48 anni da un cancro alla gola. Vittorio Emanuele II dichiara lutto nazionale e fa aprire la Basilica di San Francesco di Paola per dare degna sepoltura al Tenore. Da allora, tanti sono stati gli omaggi al Great Caruso, indimenticabile è quello di Lucio Dalla. Oggi, il MANN ricorda la sua eccezionale carriera in un percorso che vale davvero la pena visitare.