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© 2022 Senzalinea testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Napoli n. 57 del 11/11/2015.Direttore Responsabile Enrico Pentonieri
Teatro

Dal cinema al teatro, La classe operaia va in paradiso

Redazione
Redazione 7 anni fa
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8 Min Lettura
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In scena dal 6 al 18 novembre al Teatro Carignano, La classe operaia va in paradiso, è stato anche inserito nella rassegna Retroscena, organizzata dall’Università di Torino, in collaborazione con il DAMS, e la partecipazione del Teatro Stabile. Il progetto, per la regia di Claudio Longhi, vede la partecipazione di Donatella Allegro, Nicola Bortolotti, Michele Dell’Utri, Simone Francia, Eugenio Papalia, Simone Tangolo, ancora Franca Penone, Diana Manea e Lino Guanciale. La piece porta nello spazio del teatro il discorso iniziato dall’ omonimo film di Elio Petri, reso indimenticabile dall’interpretazione di Gian Maria Volonté. La pellicola valse a Petri la Palma D’oro a Cannes, nonostante le violente stroncature della critica italiana, impreparata ad affrontare la bellezza disturbante e quasi sovversiva del film. Con La classe opraia va in paradiso, Petri svelava con forza una realtà sociale drammatica, che all’epoca molti volevano mantenere nel rimosso. Quarantasette anni dopo quelle verità così radicate nelle lotte di classe del 68’ (eppure ancora tanto attuali) ri-tornano, questa volta tra le quinte di un teatro. Ad interpretare il protagonista è Lino Guanciale, formato all’ Accademia Silvio D’amico di Roma e recentemente occupato in numerosi e noti progetti televisivi Rai. Ludovico Massa, detto Lulù, è un operaio milanese: entra in fabbrica quando non è ancor giorno ed esce quando è già buio. Il lavoro lo ha reso automa. Divorziato e con un figlio, frequenta Lidia (Diana Manea, che ha fatto suo il ruolo che fu Mariangela Melato), la quale a sua volta ha avuto un figlio da un precedente matrimonio.

Il Lulù di Lino Guanciale è uno sbraitante operaio pieno di sé, fiero di produrre degli strumenti dei quali ingnora persino la funzione. Il suo unico interesse è ottimizzare i tempi e aumentare i numeri, per mostrare almeno a lavoro quella virilità che da anni ha perso in casa, con la sua Lidia, dato che tanti alienanti anni in fabbrica lo hanno segnato nel profondo. A scandire il tempo è il “Cronometrista” (Simone Francia): un po’ mediatore fra operai e sindacalisti, un po’ vile manipolatore, egli controlla insieme lavoratori e tempo per assicurarsi che le richieste sempre più gravose e disumane dei “padroni” vengano portate a termine. In uno dei tanti massacranti giorni di lavoro, Lulù si ferisce e perde una falange, un evento che cambia del tutto lo scorrere indifferente della sua esistenza. Per la prima volta Lulù si rende conto di cosa da tempo non succede nella sua vita. Capisce di non soffrire e non gioire. Non ama neppure, e non sa farlo l’amore, perché in fondo “l’amore si fa e una volta fatto si va avanti”. Tenta allora di far succedere qualcosa: venuto a sapere di associazioni sindacali e studentesche, che rivendicano maggior tutela degli operai, decide di far visita a un suo vecchio amico, Militina, un altro opario chiuso da anni in manicomio. La follia è infatti la sorte di chi non regge la smaterializzazione della propria personalità, oppure di chi materilizza i propri dubbi fino a diventare scomodo. Attraverso la magistrale e turbante recitazione di Franca Perone, Militina (ruolo affidato nel film al maestro Salvo Roncone) racconta a Lulù la sua storia, gli anni in fabbrica e il graduale ridimensionamento della sua esistenza in una grigia routine ripetitiva e spersonalizzante. Infine la sua presa di coscienza, che significò prima il licenziamento e poi un posto in una casa di cura: “Sono gli altri che decidono quando diventi matto”, risponde Militina a Lulù.

Tante sono le vicissitudini che da quel momento accompagnano il protagonista, a cominciare dal licenziamento, dovuto al coinvolgimeno politico, fino ad una parvenza di pazzia che finisce quasi per travolgerlo quando, nella finzione teatrale, un esausto Lino Guanciale si lascia scivolare sulle scale del palco e parla con la bambola gonfiabile Susanna, (personaggio dei formaggini tanto amato dai bimbi degli anni 90’). Alla fine però Lulù viene ri-assunto in fabbrica. Tra la felicità di Lidia e la soddisfazione di studente e sindacalista, riprende ad esercitare quei movimenti delle braccia che ha sempre continuato a mimare, e che in ultimo rappresentano ciò che è: una macchina, veloce, incorruttibile e inumana. Nel finale, così come nel film il Lulù a teatro racconta agli amici un sogno che ha fatto. Tra i rumori delle macchine e la disattenzione generale, poco si riesce a cogliere di questo sogno, eppure seduto giusto il tempo di ricordare, l’operaio inizia a parlare di un luogo, dove tutti i suoi compagni sono riuniti, persino l’odioso Cronometrista, e di una porta che d’impeto riescono a sfondare. E finalmente, in un’ irreale e fiabesca nube bianca che si materializza davanti ai trasognati spettatori, si ritrovano, ci ritroviamo, in paradiso.

“Quando vai in scena ti chiedi sempre ma è attuale questa storia? A chi interesserà?” rivelava Guanciale al suo pubblico, durante il Retroscena dello scorso 7 novembre. In effetti le lotte operaie sembrano ormai un mondo lontano, un fuoco fatuo. Persino le distinzioni di classe oggi faticano a rientrare nelle nette dicotomie di quegli anni, ma risultano sempre più disarticolate, sfumate in specificazioni che rendono difficile la riarticolazione di domande politiche coerenti. Eppure questo spettacolo conserva qualcosa di incredibilmente attuale e drammatico. Significativa a questo riguardo il commento dolente del regista, Claudio Longhi: “non importa essere ricchi o poveri ma sapere di essere sfruttati o sfruttatori; da che parte si sta”.

Dal punto di vista tecnico, è da sottolineare l’ottima prova attoriale di tutti gli interpreti coinvolti, che hanno avuto allo stesso modo cura dei loro personaggi. Ognuno di loro è stato così reso indispensabile al racconto, sottolineandone la personalità e il ruolo nell’intreccio. Particolarmente felice è anche l’accompagnamento musicale, pensato per reiventare il classico Vivaldi in una chiave inedita, molto più energica ed enfatica di quanto siamo abituati a sentire. Degno di nota infine, è l’inserimento degli “intervalli”, in cui il regista Petri e lo sceneggiatore Ugo Pirro dibattono sulle caratteristiche dell’opera filmica con gli attori-personaggi, in una spiritosa quanto interessante mise-en-scene dell’atto creativo.

Dopo l’interruzione invernale lo spettacolo verrà portato in tutta Italia nel 2019.

A cura di Anna Nigro 

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