Il nuovo museo MAAT (Arte, Architettura e Tecnologia) di Lisbona, inaugurato ad ottobre del 2016, progettato da Amanda Levete, è l’epicentro culturale della capitale portoghese. Il nuovo edificio ha la capacità di dialogare con il paesaggio urbano e naturale, con continue integrazioni tra interno ed esterno, grazie anche alla superficie esterna rivestita di ceramiche calçada, appositamente progettate, riflettono la luce nel suo variare durante il giorno e le vibrazioni dell’acqua del fiume Tejo. Inoltre, di grande impatto è la scelta di realizzare un tetto che sia vivibile come una piazza, uno spazio pubblico con una straordinaria vista sulla città. Oltre al contenitore, di straordinario impatto sono le diverse mostre, (il contenuto), che il museo offre. Interessante è la mostra allestita nelle sale interne del MAAT, dal titolo: “Eco Visionaries Art and Architecture After The Antropocene“, fino all’8 ottobre 2018. Una esposizione incentrata sulle critiche e sulle prospettive delle trasformazioni ambientali che incidono sul nostro pianeta. Con il termine Antropocene, si intende, l’essere umano e la sua attività come i principali responsabili delle modifiche territoriali, strutturali e climatiche. Con oltre trentacinque artisti e architetti, la mostra di Lisbona è la prima e più ampia delle quattro esposizioni che appariranno simultaneamente in Portogallo, Spagna, Svizzera e Svezia.
Il percorso espositivo inizia con la serie “Disastro”, alla fine degli anni Sessanta, un architetto americano, R. Buckminster Fuller descrive il nostro pianeta come una nave spaziale alimentata ad energia solare che richiede una costante manutenzione per evitare un disastro. Fuller ha proposto una cupola geodesica sulla città di New York per aiutare a gestire le condizioni climatiche e le scarse risorse energetiche. La sua proposta visionaria è l’esito di una riflessione sull’ecologia, ha anticipato un problema globale che solo oggi la comunità internazionale ha iniziato lentamente ad osservare. Dallo scioglimento dei ghiacciai nell’Artico, alla deforestazione in Amazzonia, dall’innalzamento del livello del mare, alla siccità, sono tanti i disastri visibili a causa del cambiamento climatico. La Natura non è una cosa da osservare semplicemente a distanza, dalla nostra “finestra”, il genere umano ha l’obbligo di rispettarla e curarla. Disegnare un semplice palo, significa mostrare l’elemento di “intrusione” della tecnologia in natura, sono interventi sul territorio che mostrano degli apparenti “paesaggi incantati”. E’ una esortazione a fare di più per il nostro pianeta.
La seconda sezione è dedicata all‘”Adattamento”, al di là delle critiche per la situazione attuale, ciò che l’uomo può fare nei confronti della Natura, è di proteggere la biodiversità e di ripartire da zero, sviluppando una tecnologia che includa la geo-ingegneria e l’incremento della raccolta differenziata, aprendo alla raccolta di risorse come l’acqua e l’energia. Una anticipazione di queste tematiche, si ebbero già nel 1960, a Vienna, con un gruppo di architetti Hauser- Rucker – Co che teorizzarono la “trasformazione ambientale”, di come il corpo dell’uomo si adatta ai cambiamenti. Molto spesso pensando allo sviluppo tecnologico e alla ragione, mettiamo da parte i valori umani. Con l’Antropocene siamo diventati più consapevoli, un filosofo della scienza come Bruno Latour ha proposto di intraprendere la strada dello sviluppo sostenibile. In questa sezione sono evidenziate le innovative vie di adattamento ai cambiamenti, dalle ricerche per controllare il clima, alle forme organiche di produzione di energia, a come possiamo reinventare la nostra biologia e indirizzare la nostra società verso un cambiamento ambientale radicale.
La terza sezione della mostra è incentrata sulla “Coesistenza”. Ciò che succede in un determinato luogo, ha ripercussioni in tutto il pianeta, ci deve essere una solidarietà fra gli individui, nel rispetto della Natura e del pianeta, anche se non siamo direttamente coinvolti, ogni singolo essere umano deve essere consapevole della deriva ambientale a cui stiamo andando incontro. Nel 1968, Helen e Newton Harrison offrirono delle visioni ottimistiche, testando la resilienza della specie di fronte all’inquinamento e allo scioglimento dei ghiacciai. Nella “Seconda Laguna” (1974-1984), gli Harrison hanno aperto la strada a pratiche artistiche in particolari zone geografiche, o in località dove non ci sono forme di vita umana. Oggi gli artisti e gli architetti contemporanei criticano la violenza dell’uomo nei confronti del territorio e propongono una coesistenza, ritrovando anche un “equilibrio estetico della natura”.
L’ultima sezione è intitolata “Estinzione”. Gli scienziati hanno dichiarato che la probabilità di estinzione sia in percentuale aumentata. I dinosauri scomparirono 65 milioni di anni fa e l’attuale sviluppo tecnologico altera il nostro ecosistema, innescando una rapida fine della specie, alcune lentamente sono già state cancellate. Nel 1970 venne affrontato ironicamente l’argomento dagli architetti americani e dagli artisti “Ant Farm”. L’aumento della temperatura media del pianeta crea condizioni inadatte alla diverse specie e agli esseri umani, portando l’intero genere umano ad una lenta e inesorabile estinzione.