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© 2022 Senzalinea testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Napoli n. 57 del 11/11/2015.Direttore Responsabile Enrico Pentonieri
Riflessioni Senza Linea

Femminicidi in Italia: una conta che non si arresta

Fabiana Sergiacomo
Fabiana Sergiacomo 3 anni fa
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7 Min Lettura
Foto di press 👍 and ⭐ da Pixabay
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Ben 11 le vittime di femminicidio da inizio  anno : Victoria Osagie, Roberta Siragusa, Teodora Casasanta, Sonia Di Maggio, Piera Napoli, Luljeta Heshta, Lidia Peschechera, Clara Ceccarelli, Deborah Saltori, Rossella Placati.

Con una media di una donna uccisa ogni  5 giorni!

Una conta che fa male e che racconta una sequela senza fine di episodi di violenza  sulle donne con epiloghi tragici e comportamenti  criminali sempre  più  spaventosi.

Le dinamiche  sono sempre  le stesse purtroppo; uomini ossessivi, possessivi, violenti, astuti, subdoli e ossessionati dall’oggetto dell’amore tanto da arrivare a perseguitare, minacciare,  annientare le loro mogli, amanti, fidanzate per ri-possederle e re-impossessarsene, controllandone vita e pensieri, libertà  e sentimenti.

In molti dei casi giunti alla ribalta delle cronache  per le morti violente, le donne hanno lasciato e rinunciato  all’amore  malato e hanno, persino, denunciato  alle autorità.

Eppure, nonostante ciò, l’atroce determinazione, accompagnata  spesso da una vera e propria premeditazione, si spinge fino all’eliminazione dell’oggetto dell’amore perverso.

Le modalità  sono terribili e a volte  inenarrabili.

E in tutti i casi, si coglie  la disperazione  della solitudine, dell’isolamento, della drammatica sensazione di non essere credute per molte delle donne che, magari, con grande difficoltà  ed esitazione hanno avuto il coraggio di denunciare…e di allontanare  un malsano amarsi ed essere amate.

E, così, vengono  i brividi se si prova solo  ad immaginare cosa avrà  provato Clara Ceccarelli, commerciante di scarpe in pieno centro a Genova, settantenne perseguitata dal suo ex al punto da decidere di pagarsi in anticipo il funerale per non gravare  sul padre anziano e il figlio disabile, colpita a morte nel suo stesso negozio in una fredda mattina di febbraio con ben 30 coltellate.

Con quale stato d’animo questa donna, descritta come pacifica e gentile, si sarà  avvicinata alle pompe funebri  dando indicazioni  per il proprio funerale e saldando il conto appena due settimane  prima  del suo tragico assassinio?

Con quale paura affrontava le giornate  aspettando rassegnata un destino segnato e conosciuto per la violenza  del suo ex che dichiarava  di  amarla, di amarla al punto di ucciderla?

E come lei, tutte le donne vittime di femminicidio vengono bruciate, accoltellate, sparate, avvelenate,  colpite, percosse  e seviziate: tutto per un senso di onnipotenza che gli uomini pensano di possedere con potere di vita e di morte sulle loro compagne.

E non esiste nemmeno la scriminante delle età.  Uomini maturi, adulti, anziani e, persino, ragazzi infratrentenni si rendono protagonisti di gesti imcomprensibili e inconciliabili con  la loro età  e con l’idea di donna che  dovrebbero avere acquisito.

Se si pensa  alla diciassettenne siciliana Roberta Siragusa trovata morta carbonizzata in un dirupo dopo aver trascorso una festa con amici in una villa privata a gennaio.

Accusato dell’omicidio il fidanzato diciannovenne, determinatosi a tanto probabilmente  dopo un litigio.

Insomma, due giovani troppo giovani sia per morire che per rovinarsi la vita in carcere.

Quando si sente parlare di femminicidio, sempre più  spesso negli ultimi tempi, con un aumento percentuale  del 40% probabilmente anche in concomitanza con la convivenza  forzata e prolungata coi propri aguzzini a causa della pandemia e delle sue restrizioni, si avverte una  rassegnazione, una accettazione  che le cose vadano così.

E, invece, si deve rivoluzionare il modo di pensare e lo si deve fare in famiglia,  a scuola, in chiesa, nella vita sociale con un approccio olistico come suole dirsi per indicare  il coinvolgimento  più  ampio  delle agenzie educative, delle istituzioni e delle associazioni deputate allo scopo.

É  necessaria una metamorfosi  di pensieri e retropensieri, atteggiamenti, modi di essere  e di agire, pregiudizi e discriminazioni  di  genere, per una catarsi vera dell’intera società  in modo che gli strumenti legislativi messi  a disposizione  dalla legge – come il Codice Rosso di  recente  emanazione – non restino lettera morta.

La denuncia delle donne vittime  di maltrattamenti e violenze, atti persecutori  e minacce, deve essere ascoltata, e soprattutto deve essere creduta in modo da avere un séguito fattivo ed efficace.

In moltissimi  casi  (ahimè!) le donne uccise non erano state credute o le loro parole erano  state sottovalutate, tutto questo perché  non sempre chi ascolta è  in grado di comprendere l’aiuto da offrire e le azioni da mettere in campo; colpa spesso di una innata diffidenza  culturale e comportamentale  per le donne che denunciano,  frutto di pregiudizi atavici e di un primitivo dovere di sottomissione che fa parte di quel substrato mentale non detto che non si riesce a sradicare  nemmeno  laddove ci si trovi di fronte a persone di cultura elevata.

Anche  il semplice  allontanamento o il divieto  di  avvicinarsi ad una donna perseguitata  non frenano la mente  malata di chi ha deciso  di  porre fine  a tutto, anche sacrificando la propria vita oltre che quella dell’amata.

Ecco perché  l’aiuto e il supporto di chi vive queste situazioni richiede interventi e ascolto per tutti, altresì per il carnefice che spesso non é mai stato  educato  all’amore, non riconosce di avere un problema  con  la sua ossessione  e, dunque, in assenza di un allert colto in tempo, il destino si inabissa con epiloghi tragici e “the end ” irrimediabili.

È  chiaro  che la chiave  di  volta  è e deve essere l’individuazione  dei primi segnali di allarme.

Forme di gelosia ingiustificate  e particolarmente ossessive, pedinamenti, isolamento da amici e parenti  e minacce se non  episodi di percosse, controlli insensati di cellulare, mancanza  di  fiducia e strategie demolitive, terrorrizzazione e stati di ansia, devono immediatamente  attivare  un vero allarme rosso  nel cervello delle donne  coinvolte che devono sentirsi libere di denunciare senza la paura di essere abbandonate, divenendo, poi, doppiamente  vittime della loro scelta e  dei loro aguzzini.

Siamo stanche di contare le donne  che ci hanno lasciato!

“Le donne  contano” sì  ma in tutt’altro senso, gridano le associazioni  in difesa dei  diritti  delle donne, e contano come  persone con la loro identità e il loro sacrosanto diritto di sentirsi  libere di vivere, amare ed essere.

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Pubblicato da Fabiana Sergiacomo
Fabiana Sergiacomo, funzionario del Miur, appassionata della mia città e della sua inesauribile cultura. Dotata di una passione sconfinata per la lettura, la scrittura e l'arte che Napoli offre in ogni angolo e in ogni suo tratto caratteristico.
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