Nell’ultimo scorcio di questa estate 2024, la cronaca è stata travolta da una spy story delle migliori saghe poliziesche…
Sulle coste di Porticiello a Palermo, a pochi metri dalla costa, cullato dalle onde del mar di Sicilia e sedotto dalle coccole tipicamente sicule, uno yacht a vela di ben 56 metri, uno dei più grandi al mondo, si è ritrovato inabissato in appena 60 secondi.
Dal dondolio delle onde al mare in tempesta e’ un attimo e il veliero lussuoso si è appoggiato sul fondale trascinando con sé ben 7 vite su 22 persone complessive che lo occupavano di cui 15 ospiti e gli altri 7 membri dell’equipaggio.
Dopo ricerche approfondite e immediate azioni di recupero da parte della Guardia Costiera sono stati trovati e identificati tutti i corpi delle vittime del veliero Bayesian, affondato all’alba di lunedì 19 agosto.
Il primo a essere stato recuperato, poche ore dopo il naufragio, è stato quello di Recaldo Thomas, il cuoco di bordo. Solo nei giorni successivi, invece, sono stati recuperati i cadaveri di Mike Lynch, tycoon britannico e proprietario dello yacht, di Jonathan Bloomer, presidente di Morgan Stanley International, di sua moglie Judith, di Chris Morvillo, avvocato, e della moglie di quest’ultimo, Neda. L’ultimo corpo è stato individuato il 23 agosto: è quello della figlia di Lynch, Hannah.
Il mondo guarda attonito a quello che sembra un delitto perfetto dove ci sono i magnati della cybersecurity internazionale in contatto coi servizi segreti di tutto il mondo, la tempesta perfetta scatenatasi con una violenza inaudita per le coste tirreniche e l’ affondamento del relitto che da yatch privilegiato è divenuto una trappola per gli ospiti che sono morti per mancanza di aria e per non aver trovato una via di uscita.
Le domande sono tante, troppe.
Come sia possibile che l’equipaggio non si sia accorto dell’arrivo di un maltempo così violento? Come mai gli ospiti erano serenamente nelle cabine con le condizioni del mare così tempestose? Come è possibile che un veliero di questa portata fosse semplicemente ormeggiato all’ancora e non in un porto sicuro?
Lynch proprietario della barca a vela è considerato il Bill Gates britannico, al centro di un processo che vedeva le sue società coinvolte nello scandalo di una inchiesta che finalmente si era conclusa con la sua assoluzione pochi mesi fa.
E la reunion in barca con tanto di feste, lusso e crociera nel mediterraneo, coinvolgeva molti dei protagonisti della vicenda giudiziaria e anche in parte vittime del naufragio escluso l’avvocato di Lynch che, invece, nelle stesse ore veniva travolto e ucciso da un’auto in un incidente stradale che ha un che di misterioso.
Di qui la spy story, un po’ giallo, un po’ thriller con tanto di intrighi, intrecci tra i protagonisti, il mistero delle morti e dei sopravvissuti, l’imperizia o approssimazione “voluta” dell’equipaggio, la tempesta perfetta che con raffiche di vento a 100km orari ha ribaltato in un nonnulla il veliero – a dire del suo costruttore – più sicuro al mondo.
A questo giallo ancora irrisolto che chiederà tempi per la ricostruzione dell’accaduto e per il recupero del veliero, se ne aggiunge uno risolto a sorpresa a distanza di un anno.
Nella conta dei femminicidi 2023 purtroppo dobbiamo calcolare una donna in più: Nicoleta Rotaru, 37 anni compiuti che ha lasciato orfane due figlie piccole.
Per oltre un anno, la sua morte è stata classificata come un suicidio , ma lei, dalla tomba, ha saputo incastrare l’ex marito fornendo ai carabinieri la testimonianza chiave che porterà Erik Zorzi, camionista di 42 anni, davanti al giudice per l’udienza preliminare il 17 settembre prossimo con l’accusa di omicidio aggravato.
Era l’alba del 2 agosto del 2023, il 118 di Padova riceve la chiamata di Erik Zorzi che in preda ad uno stato di agitazione, chiede un pronto intervento : «Presto, presto, fate in fretta, mia moglie è chiusa in bagno da due ore e non risponde più, ho paura che sia morta».
Quando i soccorritori arrivano, sfondano con facilità – dettaglio non secondario – la porta del bagno, la tragedia è già compiuta: il corpo di Nicoleta è a terra, gettato in un angolo.
La donna è rannicchiata e ha una cintura di pelle stretta attorno al collo, la fibbia chiusa all’altezza della nuca.
Tutto fa subito pensare a un gesto estremo e tutto torna : la chiamata concitata ai soccorsi da parte del marito, la porta chiusa dall’interno con un piccolo chiavistello scorrevole, il bagno cieco senza finestre, i solchi sul collo di lei compatibili con la cintura usata per impiccarsi.
Nessun segno di violenza e nessun segno di effrazione. Anche il medico legale confermo’ lo scenario: probabile suicidio.
Malgrado Erik fosse conosciuto dai carabinieri del luogo più volte accorsi sul posto richiamati dai vicini di casa per le violente e continue liti con la compagna e le testimonianze di chi la conosceva dei maltrattamenti che subiva costantemente dall’ex marito, la verità é venuta fuori grazie alla sua lucidità.
Ad incastrare lui infatti c’è voluta lei, la compagna di vita, lei che da morta ha fatto in modo da raccontare direttamente ai carabinieri che cosa fosse successo quella tragica notte del 2 agosto 2023.
Rientrata a casa dopo aver visto il fidanzato con cui aveva una relazione più o meno stabile e di cui Erik aveva scoperto tutto attraverso un microfono piazzato nella sua macchina aveva ascoltato l’incontro tra Nicoleta e il compagno andando su tutte le ferie dopo aver compreso che per lui non ci fosse più spazio.
Nicoleta dal canto suo da tempo temeva per sé e avvertendo che la tensione dopo la notte trascorsa fuori casa fosse palpabile, decide di prendere le sue precauzioni per tutelarsi.
Erik è ancora più aggressivo del solito, così la donna accende il registratore del cellulare e lo appoggia sul comodino accanto al letto.
Non era la prima volta che lo faceva. Aveva iniziato qualche tempo prima per documentare i litigi e le violenze subite, inviando i contenuti ai parenti e amici più cari per procurarsi dei testimoni all’occorrenza.
Per mesi ha registrato tutti gli insulti, le umiliazioni, le violenze anche in presenza delle bambine.
E quella notte, la sua ultima notte, Nicoleta ha documentato il suo stesso assassinio in un crescendo di offese verbali, insulti, ansimi e rumori di lotta che il rapporto degli investigatori riassumerà in una frase: «Suoni compatibili con un’azione omicidiaria».
Il cellulare cattura tutto, ciò che accade prima durante e dopo la morte di lei.
Le parole confuse e nervose di Zorzi, i rumori delle porte, il tintinnio della fibbia della cintura, i passi, i trascinamenti, i lavori fatti velocemente per smontare il pannello della porta e poi per rimontarlo, con l’obiettivo – ipotizzato dalla procura – di far scorrere il chiavistello del bagno dall’interno per far sembrare ai soccorritori che la donna si fosse chiusa da sola nel bagno.
E infine l’arrivo degli infermieri e del medico del Suem e poi dei carabinieri.
Nicoleta da morta ha fornito la prova di tutto ciò che è successo fino a quando il cellulare non si è scaricato e non è stato riacceso dagli informatici incaricati dal tribunale perché cercassero un messaggio d’addio per confermare il suicidio.
Il messaggio c’era, ma era qualcosa di molto diverso, essendo un’accusa aperta, chiara , decisiva per incastrare Erik Zorzi alle sue evidenti responsabilità e spingerlo in carcere in attesa di un processo per omicidio volontario.
Paradossale che nonostante la lapalissiana colpevolezza del marito confermata nei fatti dai comportamenti, dai maltrattamenti, dagli insulti, dalle umiliazioni, dalle violenze che facevano parte della vita di Nicoleta e delle sue figlie, di cui erano a conoscenza tutti coloro che frequentavano e conoscevano la coppia, tutti, forze dell’ordine, medici e magistrati siano stati ciechi di fronte all’ovvietà di quello che sembrava un suicidio perfetto ma era un ennesimo omicidio assistito, desiderato, perpetrato nei confronti di una donna che voleva sentirsi semplicemente libera di vivere.