In un afoso venerdì 13 agosto si rincorrono improvvise le notizie sulla morte di Gino Strada.
Solo leggere il titolo lascia increduli e tumefatti in volto come quando si becca un cazzotto sul ring, di quelli inaspettati e ben assestati.
Certo, il paragone è un po’ sfrontato ma di fatto la sensazione di milioni di persone sarà proprio questa.
Un tuffo al cuore per una morte che si spera non arrivi mai e, invece, al compimento dei suoi 73 anni mentre era in vacanza in Normandia, il suo cuore malato da tempo ha ceduto e lo ha portato via…
Solo il giorno prima si era scagliato contro la politica internazionale colpevolmente silente di fronte alla nuova e più temibile avanzata al potere dei talebani in Afghanistan, esprimendo non solo il rammarico per tutto quello che non è stato fatto ma la paura per quello che può succedere in territori dove non c’è spazio per i diritti umani e la spietatezza e la crudeltà la fanno da padroni.
Gino Strada, nome di battesimo Luigi, nasce il 21 aprile 1948 a Sesto San Giovanni, studia al liceo classico G. Carducci di Milano e si laurea in Medicina specializzandosi in Chirurgia di urgenza all‘università statale di Milano.
Durante gli anni dell’università diviene attivista del movimento studentesco e si avvicina al mondo ideologico della sinistra dopo un’adolescenza trascorsa in ambienti cattolici molto vicini a Don Gallo.
Proprio negli anni universitari conosce Teresa Sarti, iscritta a Medicina come lui che sposerà e da cui avrá una figlia Cecilia Strada, nata nel 1979, medico anche lei.
Dopo l’annuncio della sua morte, la figlia ha rivolto un messaggio a tutti coloro che hanno inviato, con un tam tam inarrestabile sui social, messaggi di cordoglio per la prematura scomparsa del papà medico ed eroe mentre era intenta a salvare vite umane in mezzo al mare proprio come il padre e la madre le hanno insegnato con la loro storia, con la loro vita, con il loro esempio.
La scelta di specializzarsi in chirurgia di urgenza segnerà per sempre la vita di Strada e lo porterà a vagare per il mondo aiutando e salvando milioni di persone vittime di guerra e di epidemie.
Una delle prime esperienze da medico specializzando in chirurgia cardiopolmonare è stata a Pittsburgh, negli Stati Uniti, dove studia le tecniche dei trapianti di cuore ancora molto poco diffusi negli anni ’80 in Italia.
Da lì comincia la sua carriera itinerante in Inghilterra all’Harefield Hospital e, poi, in Sud Africa al Groote Schuur Hospital di Città del Capo, dove completa la sua formazione a fianco del cardiologo di fama mondiale Christiaan Barnard e dove viene effettuato il primo trapianto di cuore.
Ed è in fondo lì che trova la sua strada che è divenuta di fatto un modo di essere e di vivere al servizio degli altri…degli ultimi…dei disperati…dei sofferenti.
Una volta rientrato in Italia lavora per la Croce Rossa e si sposta in varie zone di conflitto: Pakistan, Etiopia, Perù, Afghanistan, Somalia e Bosnia ed Erzegovina fino a quando viene assunto all’ospedale di Rho, dove si occupa di trapianti di cuore fino al 1988 alla luce della sua esperienza e specializzazione conseguita all’estero ma poi preferisce la traumatologia e la cura delle vittime di guerra e questo virerà per sempre la sua vita verso la creazione di un’associazione che si occupasse di vittime di guerra nel mondo.
È il 1994 quando insieme alla moglie Teresa e a pochi altri colleghi sostenitori della sua causa, decide di fondare Emergency un’associazione umanitaria internazionale per la riabilitazione delle vittime della guerra e delle mine antiuomo ed insieme assistono milioni di ammalati nelle zone più disperate e abbandonate del mondo, dall’Afghanistan al Rwanda, dalla Cambogia al Sudan alla Sierra Leone, ovunque guerre ed epidemie mietessero vittime, cercando di sensibilizzare spesso con modi non troppo simpatici e sempre diretti, gli Stati sulla necessità di avviare politiche di dialogo e di pace, di non incentivare conflitti, di proibire la produzione delle mine antiuomo che ancora oggi uccidono tante vittime innocenti.
Con l’Ong, che ha compiuto 27 anni, il Gino Strada chirurgo non ha solo curato malati e feriti ma ha fatto molto di più riuscendo a costruire in molti remoti luoghi del mondo, ospedali e posti di primo soccorso per far fronte a guerre ed epidemie e assistere chi ne avesse bisogno portando medicine, beni di prima necessità e di soccorso in tutti quei territori devastati da guerre, carestie, malattie dimenticati dai più.
Dalla sua fondazione nel 1994, dati alla mano, Emergency dichiara di essere intervenuta in 17 paesi, curando oltre 11 milioni di persone.
Uno dei suoi ultimi incarichi risale allo scorso anno, in piena emergenza Covid, in cui Gino Strada è stato chiamato dal Commissario Straordinario per portare il proprio contributo in Calabria, promuovendo un accordo tra Protezione Civile ed Emergency, con tende da campo e la gestione di un’area dell’ospedale calabrese per l’assistenza dei malati di Coronavirus, in supporto alle strutture pubbliche attraverso il lavoro di medici della sua fondazione.
Con sfrontatezza e determinazione non ha, di certo, tenuto segreto il suo disappunto per le politiche anche nazionali sia in termini di politica estera per il mancato supporto alle associazioni e alle missioni umanitarie come la sua nonché al coinvolgimento dell’Italia in alcuni conflitti in giro per il mondo sia in termini di politica interna per la gestione dei flussi migratori e per l’immane tragedia a cui si assiste da anni nel nostro Mediterraneo.
Da trent’anni per questo Gino Strada non vota nel nostro paese.
Strada è sicuramente conosciuto e apprezzato nel mondo come un medico ma non solo la sua fama di filantropo e paladino dei diritti umani è ormai nota ovunque tanto che proprio per la sua grande storia ed immensa umanità in suo onore è stato intitolato l’asteroide 248908 Ginostrada.
Gino Strada ha avuto un merito su tutti, con la sua fondazione ha lasciato una scia di altruismo e di amore per il prossimo che dovrebbe incarnare l’ideale di ogni medico e ha dimostrato che si possono concretamente salvare vite umane e si possono compiere azioni giuste per i meno fortunati nel mondo.
Ha lottato tremendamente per questo risultando a volte brusco e scontroso ma le sue battaglie sono state battaglie di profonda umanità per fornire un aiuto, un sollievo, una cura, un medicinale, un intervento chirurgico riservato agli ultimi.
Il mondo tutto è in lutto per la sua scomparsa e non può non essergli grato per aver risollevato dalle sofferenze migliaia di persone vittime innocenti di guerre, soprusi, miserie e prepotenze mondiali.
Il suo coraggio e la sua missione lo hanno condotto in posti lontani, difficilmente raggiungibili e spesso non considerati prioritari in alcuna agenza politica, nazionale o internazionale e, invece, lui era lì, in prima persona, con le sue mani e la sua esperienza, con la sua professionalità e le sue conoscenze, con la sua competenza e la sua umana pietas che ha continuato a diffondere ancora e ancora nelle sue ultime dichiarazioni sulla situazione attuale in Afghanistan che hanno preceduto di poco la sua morte. Ancora una volta urlando e gridando contro il disvalore della guerra, tra le forme più disumane e inutili di violenza.
Non ha mai dimenticato la sua missione e la sua vocazione da medico, il che ha reso lui e sua moglie due eroi positivi dei nostri tempi la cui scia di bene non si fermerà nonostante anche lui non ci sia più perché l’eredità che ha lasciato è ormai incarnata in pieno dalla sua Emergency e dalla sua mission che opereranno in suo nome e in suo onore per salvare altre vite e curare tutti coloro che ne hanno bisogno senza distinzioni ne’ discriminazioni ne’ esclusioni.
E così nelle parole di Gino Strada la sostanza del suo testamento umano consegnando non solo alla sua associazione umanitaria ma a tutti noi l’insegnamento del valore di una cultura dell’umanità e della pace da professare in ogni nostra azione quotidiana e da diffondere nelle scuole, nell’educazione e nella dimensione internazionale del rispetto concreto dei diritti umani perché, se di diritti umani si deve parlare, non sono ammesse eccezioni di sorta altrimenti non di diritti umani si tratta ma di privilegi inaccettabili e inconciliabili con una cultura di pace e di uguaglianza per cui ”Se uno di noi, uno qualsiasi di noi esseri umani, sta in questo momento soffrendo come un cane, è malato o ha fame, è cosa che ci riguarda tutti. Ci deve riguardare tutti perché ignorare la sofferenza di un uomo è sempre un atto di violenza e tra i più vigliacchi”.