«Hai fatto qualcosa, però non sei un mafioso, non sei uno che ammazza le persone, hai avuto un momento di debolezza.
Non sei un terrorista. Devi farti forza. Non sei l’unico. Ci sono stati parecchi altri. Però ti devi laureare..».
Queste le parole di Nicola, padre di Filippo Turetta, in carcere per il femminicidio di Giulia Cecchettin, pronunciate vis a vis con il figlio recuperato da poche ore dalla fuga inusitata in Germania.
Più precisamente , era il 3 dicembre scorso quando i genitori di Filippo incontravano per la prima volta, dopo l’omicidio e la fuga, il figlio reo-confesso, nella saletta del carcere.
Le frasi che Nicola ha rivolto a Filippo, sono state intercettate e ora contenute nel fascicolo processuale, sorprendendo un po’ tutti per la decisione di acquisire un incontro privato agli atti del processo.
Nello sconcerto generale, anche la sorella di Giulia, Elena Cecchettin, è intervenuta, attraverso i social, ribadendo il problema della normalizzazione dei femminicidi che avviene nei contesti patriarcali, all’ origine di molti delitti efferati degli ultimi tempi contro le donne.
In un batter d’occhio, non si sa come, le parole dette in un colloquio riservato genitori-figlio si sono ritrovate spiattellate con titoloni di condanna e sdegno su tutti i giornali in questo weekend.
Sotto accusa il retropensiero che quelle parole nascondono, la quasi totale giustificazione per il fatto commesso, comune anche al destino di altri maschi alfa assassini, l’invito a pensare alla laurea e, quindi, a progettare un’ipotesi di futuro seppur dietro le sbarre.
Alla fuga di notizie, e’ seguita la replica addolorata del padre di Filippo che al Corriere ha dichiarato: “Chiedo scusa per quello che ho detto a mio figlio. Gli ho detto solo tante fesserie. Non ho mai pensato che i femminicidi fossero una cosa normale. Erano frasi senza senso. Temevo che Filippo si suicidasse. Quegli instanti per noi erano devastanti. Non sapevamo come gestirli. Vi prego, non prendete in considerazione quelle stupide frasi. Vi supplico, siate comprensivi”.
Le sue parole consolatorie erano collegate al momento poiché c’erano stati tre suicidi a Montorio, di qui il timore – che non si può nonostante tutto giudicare – del padre che anche il figlio fosse a rischio di lasciarsi andare ad un gesto estremo.
E così, mostrandosi evidentemente avvinto dal dolore ha continuato “non ho dormito questa notte. Sto malissimo. Sono uscito di casa per non preoccupare ulteriormente mia moglie e l’altro mio figlio. Ora si trovano ad affrontare una gogna mediatica dopo quel colloquio pubblicato dai giornali. Io ed Elisabetta avevamo appena trovato la forza di tornare al lavoro. Abbiamo un altro figlio a cui pensare, dobbiamo cercare di andare avanti in qualche modo, anche se è difficilissimo. Domani chi avrà il coraggio di affrontare gli sguardi e il giudizio dopo quei titoloni che mi dipingono come un mostro. Ero solo un padre disperato. Chiedo scusa, certe cose non si dicono nemmeno per scherzo, lo so. Ma in quegli istanti ho solo cercato di evitare che Filippo si suicidasse”.
Anche lo stesso invito a laurearsi non era legato alla speranza di un futuro fuori dal carcere per lui “ma solamente per tenerlo impegnato e non fargli pensare al suicidio. È logico che non se ne farà niente di quella laurea, dovrà giustamente scontare la sua pena per quello che ha fatto. Filippo ora si rende conto di quello che ha fatto.
Siamo riusciti infatti ad affrontare l’argomento. Vuole scontare la sua pena. Non ha nessuna speranza o intenzione di sottrarsi alle sue responsabilità -continua Nicola Turetta- Non pronuncerei più quelle parole, ma era un tentativo disperato di evitare un gesto inconsueto. Mi dispiace davvero tanto. Provo vergogna per quelle frasi, non le ho mai pensate”.
Complicatissima e delicatissima la posizione dei genitori di Filippo che in quelle prime ore si ritrovavano di fronte un figlio stravolto da se stesso, dalle atrocità commesse e dalla paura che potesse farsi del male perché non in grado di sopportare un tale dolore e la mancanza di qualsiasi ipotesi di destino diverso dal carcere.
E se leggere quelle parole fa davvero tanto male, perché sembrano fare da substrato e aiutano a mettere insieme un piano assassino terrificante fatto di logiche giustificative di uomini che uccidono le donne, assassini sì ma non mafiosi, preda di amori malati ma non delinquenti, vittime dei loro mostri ma non mostri, ma con in più rispetto a Giulia e a tutte le altre donne assassinate, un vantaggio, quello della vita con la possibilità di intravedere, comunque, un futuro fatto di una laurea e magari di buona condotta.
Dispiace che nelle parole del padre non si legga pietà per Giulia e la sua famiglia, per Giulia e il suo dolore, per Giulia e le sue paure, per Giulia e il suo abbandono, per Giulia e la sua vita volata via …soprattutto quella sera che nelle ultime immagini video si vede comunque sempre una Giulia sorridente e solare come viene descritta da tutti.
Vero e atroce al tempo stesso è che però queste parole siano state filtrate tramite i giornali dando in pasto al gossip una conversazione – a prescindere dai contenuti – che andava tenuta riservata considerando il momento rappresentato dal primo incontro tra genitori stravolti dall’angoscia di in figlio assassino in carcere e il figlio assassino spietato…le cui prime parole non sarebbero dovute essere queste ma nessuno di noi può permettersi comunque di giudicare la loro posizione perché in fondo un genitore ha un compito ingente quello di provare ad amare e sostenere i figli senza condizionamenti, anche quando sbagliano e magari in quelle parole pronunciate nell’immaginario di una riservatezza che è stata scalfita dalla diffusione pubblica del loro primo colloquio, ci voleva essere solo una formula consolatoria per un assassino che si è già condannato da solo e a vita considerata elevatissima la probabilità di un fine pena mai!
Peraltro non si può sottacere che pubblicamente e in tutte le interviste i genitori di Filippo sono stati durissimi col figlio condannando il gesto e chiedendo perdono per lui…e poi si sono ritrovati di fronte questo figlio e davvero riesce difficile immaginare le parole, le emozioni, lo strazio di un incontro simile.
Un assassino resta un assassino e la condanna è nelle sue azioni prima ancora che nelle sentenze emesse, nella sua persona prima ancora che nel suo futuro, nella sua vita prima ancora di conoscere una impossibile libertà, nella sua libertà di scelta di fare del male e non nei genitori che lo hanno generato ecco perché condivido le perplessità di chi si è stupito di una diffusione mediatica e di come un colloquio doloroso, triste, angosciante, denso di disperazione sia potuto apparire sui giornali e acquisito agli atti del processo, violando il principio garantista di rispettare anche l’imputato e i suoi diritti che restano vigenti sempre in virtù dei principi costituzionali riconosciuti anche a chi ha sbagliato in modo grave altrimenti lo Stato diviene connivente coi delinquenti se delinque anche esso, disattendendo i suoi stessi principi e i suoi stessi valori.
Filippo Turetta ha sbagliato perché ha deciso di uccidere Giulia e ha sbagliato con la sua testa, con le sue mani, con la sua crudeltà, con la sua violenza e con la sua premeditata progettualità criminosa.
Nonostante faccia parte di una cultura patriarcale, non sono stati i genitori ad incitarlo alla violenza e all’assassinio; nessun genitore vorrebbe questo destino per il proprio figlio per cui per quanto non dobbiamo mai dimenticare le vittime e Giulia resta purtroppo simbolo di tutte le vittime, un cuore giovane spezzato nei suoi sorrisi e stroncato nei suoi sogni e nei suoi desideri di vita, la cultura patriarcale non può essere addebitata tutta sui genitori di Filippo Turetta , essendo per l’appunto un problema culturale sociale di vaste proporzioni e di cui non si può trovare un capro espiatorio in un genitore che – anche solo provando ad immaginare lo straziante incontro col figlio in quella situazione di condanna collettiva, di odio e di sdegno diffuso – probabilmente avrebbe potuto e dovuto usare parole diverse, poteva condannare in modo netto il figlio ma che ancor più probabilmente ha ceduto alla disperazione di chi vuole provare a salvargli la speranza, la visione di un futuro anche solo immaginario di laurearsi finalmente concedendogli l’illusione di un’idea di normalità che non gli apparterrà mai più ma che volente o nolente, piaccia o non piaccia alla colpevolizzazione collettiva, si scontra con l’umanità e il senso di giustizia della nostra Costituzione che tende, nei suoi articoli e nella sua ratio, alla rieducazione del condannato e, quindi, anche di Filippo Turetta che resterà in carcere per tutta la vita ma che potrà beneficiare dei diritti dei detenuti esistenti in un paese libero e democratico come il nostro, con una condanna all’ergastolo ”chiavi in mano” e non come purtroppo si incita con logiche medievali a “buttare per sempre le chiavi!” seppure in questo caso è lapalissiano che avvenga.