E’ allestita nelle sale dello “Spazio Martucci” 56, a pochi passi da piazza “Amedeo”, a Napoli, la mostra collettiva intitolata “Grafica d’autore”, curata da Simona Pasquali, fino al 17 aprile 2019. Afferma la curatrice: “Il cromatismo, i segni incisivi, le campiture dinamiche, le sagome maestose, il rigoroso linearismo, le figure stilizzate, sono i tratti caratteristici delle serigrafie e delle calcografie di artisti diversi stlisticamente, ma uniti da un gesto grafico che li accomuna come un sottile filo rosso che, nella diversità dei soggetti si fondono insieme per raccontare l’arte, in ogni sua forma”. E’ un percorso espositivo che si sviluppa in due sale, nella prima, il fruitore è accolto da una serie di opere in bianco e nero di Ernesto Tatafiore, in cui il protagonista dell’impianto compositivo è l’eroe greco Ulisse, raffigurato a cavalcioni su un pesce. E’ una scena messa in correlazione con la dicitura posta nella parte alta: “Museo Archeologico di Napoli”.
Alla tradizione napoletana e in particolare alla maschera di Pulcinella è dedicata l’acquaforte di Mimmo Paladino, raffigurato all’interno di uno spazio onirico, in cui mancano coordinate temporali. E’ una rappresentazione lontana da una visione statica e malinconica che caratterizza Pulcinella nelle opere di altri artisti. In questo caso, il segno grafico e la presenza di altre figure umane ne aumentano il dinamismo.
Di connotazione diversa, è l’acquatinta di Giuseppe Maraniello, in cui l’unico elemento reale e razionale è una sequenza numerica che emerge dal piano di fondo. Osservando attentamente l’opera, frammenti e porzioni riconducibili ad oggetti della quotidianità si evidenziano rispetto agli altri. Una striscia rettangolare bianca collocata al centro della composizione invade la superficie pittorica, creando un continuum visivo fra interno ed esterno, innescando un processo di sottrazione cromatica.
All’interno della seconda sala del percorso espositivo, opere di differenti autori si susseguono alle pareti, tutte caratterizzate da colori sgargianti. E’ di nuovo Mimmo Paladino ad accogliere il pubblico con due serigrafie, la prima è una silhouette molto dettagliata: una testa con una chioma stilizzata è preceduta dalla sua ombra, la presenza dell’elemento naturale a destra chiude la sequenza visiva. Sono immagini di primitiva memoria, dei popoli delle antiche civiltà.
Nell’altra silhouette, invece, mancano i dettagli, la ricostruzione visiva dell’immagine avviene per intuito ed esperienza, sembra di trovarsi di fronte ad un individuo appartenente ad una qualsiasi comunità tribale di difficile identificazione.
Diverse sono le opere di Salvatore Paladino. Nella sua serigrafia, semicirconferenze e colori si alternano, dando vita a delle composizioni che si dividono fra l’Arte Cinetica e il Futurismo. E’ un “decostruzionismo”, in cui la carta da gioco, la Regina di Fiori, si smaterializza. Gli unici elementi riconoscibili sono i due trifogli e le due lettere collocate alle estremità della rappresentazione.
Nell’acquaforte e acquatinta, invece, le forme sono semplici e primitive, a dimostrazione di un gesto impulsivo ed ingenuo, così come il colore scuro, steso con campiture piatte. Uno stile che rievoca le straordinarie opere di Joan Mirò.
Renato Barisani è stato sperimentatore infaticabile, fedele ad un suo segno interiore e creativo, reale e immaginario. Esponente dell’arte “concretista”, passa all’informale e al neodadaista, fino a giungere all’arte astratta e geometrica nelle sue diverse declinazioni. Dagli anni Ottanta passa all’arte da lui stesso definita: “Astrazione organica”. E’ presente in mostra con due opere.
Di Sergio Fermariello è la singola acquaforte che esprime il senso della sua creatività: “un disegno tende a immagini sgranate, perde la messa a fuoco sull’oggetto, liquida le sue intime narrazioni con un lavoro forzato di blow-up, rendendo la forma invisibile e vuoto il contenuto”, come ha più volte ribadito in numerose occasioni l’artista.
A chiudere il percorso espositivo sono le opere di altri grandi artisti che hanno avuto con la città partenopea un rapporto molto profondo: Salvatore Emblema e Riccardo Dalisi.