È la notte del 30 Ottobre. Una notte come tante altre. Il clima è mite, il vento assente, e dalla finestra socchiusa sento solo lo sporadico frusciare delle automobili che viaggiano in lontananza. Di tanto in tanto i vetri emettono un sottile crepitio per il passaggio di un vecchio autobus brontolone, probabilmente vuoto. Null’altro avverto tra queste quattro mura. Il biglietto lì sul comodino, immobile, si lascia osservare come se stesse aspettando di essere utilizzato. Credo che il giovane Aladino provasse una sensazione simile al cospetto della meravigliosa lampada. È un oggetto così comune eppure è capace di condurre in luoghi remoti senza che ci sia la necessità di muovere un singolo muscolo. Per forma e colori potrei pensare ad un piccolo, minuscolo tappeto volante, ma servirebbe la fantasia di Antoine de Saint-Exupéry che vedeva serpenti ed elefanti celati nei cappelli. Ahimè io sono adulto e nemmeno ho mai fatto l’aviatore, figuriamoci: un biglietto è un biglietto, per quanto speciale.
Il desiderio di approfondire la vita della Signorina A. Guy è forte ma preferisco concedermi una pausa.
Domani sarà la notte di Halloween e non posso non svagarmi con l’omonimo film di un regista che poco conosco, John Carpenter. La sua opera più famosa manca all’appello della mia personale cultura cinematografica e c’è sempre un posticino per un nuovo titolo sui ripiani dei questi scaffali. Tendo di solito a stare a distanza di sicurezza dai B-movie, dagli slasher e, lo confesso, anche più in generale dall’horror. Sarà la ricorrenza alle porte, sarà l’influsso di quel piccolo pezzo di carta dorata, sta di fatto che i tremolanti titoli di testa color zucca già scorrono sullo schermo!
Sono trascorsi pochi istanti dal lungo piano sequenza in cui il giovanissimo Michael, vestito da clown, ha commesso il primo efferato omicidio. Non faccio in tempo a distrarmi un istante per sbirciare lo schermo dello smartphone che accade qualcosa di strano, al quale inizio pian piano ad abituarmi. Risollevato lo sguardo noto che l’LCD si è trasformato in un vecchio televisore a tubo catodico che trasmette “La Cosa” di Christian Nyby, horror del 1951! Nulla è più lo stesso in realtà: le tende con motivi floreali, il divano a tre piazze, tutto ha un’aria vintage e tendente all’ocra adesso.
Delle voci provengono dalla stanza accanto e subito mi alzo per andare ad indagare. Dal corridoio vedo un uomo sulla trentina con lunghi capelli e baffi folti dare direttive ad una giovane ragazza bionda. Pochi secondi e li riconosco: sono John Carpenter e Jamie Lee Curtis! Nella stanza ci sono pochissime altre persone. La cosa suscita in me meraviglia: penso sempre ai set cinematografici come a luoghi affollati ed in costante fibrillazione. Qui sembra tutto pacato, quasi intimo.
Approfitto della pausa pranzo per avvicinare il regista e porgergli qualche domanda. Sembra una persona molto cordiale e nonostante sia molto indaffarato pare non pesargli affatto l’idea di una chiacchierata.
La prima domanda è naturale e quasi scontata: “Dove diavolo è finita la troupe, John?”. Lui sorride e dice che l’ho conosciuta poco fa. È tutta lì. Il budget a disposizione è davvero bassissimo, 300mila dollari, la metà del quale è stato speso per le macchine da presa prima ancora di iniziare a girare. Alcuni degli attori, protagonista compreso, stavano lavorando per 25 dollari al giorno! Sgrano gli occhi a sentire queste cifre, abituato come sono ai budget stellari della Hollywood del nuovo millennio. Aggiungo che immagino che un’altra buona parte delle spese era andata via per la creazioni dei costumi e delle musiche, pilastri fondamentali dell’opera che stava realizzando. Scoppia in una fragorosa risata che in breve contagia tutti i presenti, eccetto il sottoscritto. Appena ripreso il contegno, ma non senza accennare nuovi sorrisi di tanto in tanto, spiega come stessero facendo davvero tutto nelle ristrettezze più incredibili. Chiede di aspettare un attimo, si alza e torna nell’abitazione dove stavano girando poco prima. Nemmeno un minuto e ritorna con in mano la maschera del protagonista, The Shape. Seduto nuovamente me la porge affinché possa osservarla da vicino. “Non lo riconosci?”, domanda Carpenter con il solito sorriso. Sono stranito, non so cosa rispondere, per me è semplicemente una delle maschere più celebri del cinema. Celebre più di quelle indossate dai supereroi Marvel. “Forza!”, insiste lui. Lo guardo ancora perplesso. “Ma è il capitano Kirk di Star Trek! Certo, abbiamo dovuto fare qualche modifica, ma nulla di che in fondo: via basette e sopracciglia, un po’ di vernice bianca e due occhi un po’ più grandi. Se osservi bene però si capisce. L’ho comprata tempo fa in un negozio di giocattoli per un dollaro”. Scoppia in un’altra risata che se non posso definire grassa, definirei quanto meno sovrappeso. Sono sbalordito. Sapere che una delle immagini più forti del cinema horror è nata per caso e senza nessuno studio mi lascia basito. L’ispirazione si manifesta in forme imprevedibili.
Rimarco la curiosità riguardo la realizzazione della colonna sonora che so essere stata eseguita dalla Bowling Green Jr Philharmonic Orchestra. Almeno qui un po’ di cura e preparazione sarà stata necessaria. La gestione di un’intera orchestra non è impresa semplice. Nulla, sono nuovamente in errore. “Non esiste nessuna Bowling Green Jr Philharmonic Orchestra! Tutte le musiche sono state scritte e suonate da me in quattro giorni. Per fortuna un caro amico mi ha dato una mano con le registrazioni. Bowling Green è il nome del paese in cui sono cresciuto, così ho pensato di inventarmi questa fantomatica orchestra per i titoli di coda”. Quando le difficoltà si fanno più pressanti emergono qualità e soluzioni che probabilmente rimarrebbero sopite. Quanti sono i registi che possono dire di aver firmato sia la sceneggiatura che la colonna sonora?
Mentre siamo intenti a parlare noto che alcuni suoi assistenti adesso stanno spazzando le foglie secche dalla strada. Capisco che il salario sia davvero basso, ma arrotondare come netturbini mi sembra estremo. “Ma quali spazzini, quelle non sono nemmeno foglie vere. Come vedi tutta la vegetazione è assolutamente rigogliosa in questa stagione. Per creare l’atmosfera autunnale tipica della notte di Halloween tutto ciò che abbiamo potuto permetterci sono dei pezzetti di carta a forma di foglie. Non ne abbiamo molti e di volta in volta è necessario raccoglierli per riutilizzarli nelle scene successive. Pensa che li abbiamo dipinti a mano ad uno ad uno!”.
Parliamo ancora un po’ mentre consuma il veloce pasto e prosegue a raccontare aneddoti legati alla scarsità di fondi. Sono uno più incredibile dell’altro. Ma non c’è più tempo, bisogna riprendere a girare. Tutto deve essere pronto in 20 giorni al massimo e mai come in questo caso il tempo è sia tiranno che denaro.
Dopo i saluti mi ritrovo d’improvviso di fronte al mio moderno LCD mentre scorrono, sempre tremolanti, i titoli di coda color zucca.
Desideravo prendere una piccola sosta dal mio viaggio settimanale eppure ovunque ci sono fili invisibili che collegano, non solo nello spazio e nel tempo, ma anche nello spirito, questa grande forma d’arte che è il cinema. Alice con 20 metri di pellicola e la corrispondenza da sbrigare realizzò il primo film della storia. Carpenter, 82 anni dopo, con un budget risibile, ha creato alcune delle immagini più iconiche dell’horror. L’amico Méliès, anche lui sorto dal nulla, amante, precursore e probabilmente inventore di questo genere, cosa ne avrebbe pensato?