Salendo la scala del Vanvitelli di Palazzo Fondi, in via Medina, ci si può immergere fino al 9 gennaio nel vissuto artistico e umano di Frida Kahlo. I curatori della mostra – Antonio Arèvaldo, Alejandra Matiz, Milagros Ancheita e Maria Rosso – propongono un percorso sensoriale nell’esistenza di una donna che ha fatto della propria vita un’opera d’arte. L’esposizione prodotta da Navigare e realizzata con il sostegno del Comune di Napoli, della Camera di Commercio Italiana in Messico e della Fondazione Leo, è scandita in percorsi tematici ritmati dagli avvenimenti più significativi della vita dell’artista.
L’itinerario si apre con una ricostruzione dettagliata di quei luoghi in cui Frida trascorre la propria infanzia, parte della sua storia con Diego Rivera e interminabili convalescenze: la camera da letto, lo studio e il giardino di Casa Azul, a città del Messico. È il 17 novembre 1925 quando l’autobus che da scuola l’avrebbe dovuta accompagnare a casa esce di strada e si scontra con un tram. L’impatto è terribile, le vittime sono tantissime. E Frida, già claudicante dall’età di sei anni a causa di una poliomielite, è ferita da capo a piedi. La diciottenne riporta fratture alle costole, alle vertebre e al bacino. Ha una gamba e un piede rotti, la spalla slogata, l’addome e la cavità pelvica perforati dal corrimano dell’autobus. Comincia il suo calvario. L’artista messicana è confinata a letto per tre mesi che preludono a decenni di sofferenze. Un anno dopo, viene scoperta una lesione alla colonna vertebrale che la costringe a indossare strettissimi corsetti di gesso, a sottoporsi a circa trenta operazioni e aspettare supina la lenta guarigione.
Frida è una persona esuberante e vitale, non si arrende al dolore ma lo traduce in prodotti artisti d’avanguardia. Dice: ‘Non sono malata. Sono rotta. Ma sono felice, fintanto che potrò dipingere’. Così, si lascia ispirare dalla propria immagine riflessa dallo specchio posizionato sopra il suo letto e ritrae se stessa attribuendosi l’iconico “monociglio”. La pittura per lei è catarsi, è un modo per conoscere se stessa e il corpo nuovo che ogni operazione le propone: “Sono la mia musa, sono la persona che conosco meglio. Il soggetto che voglio conoscere meglio”. La mostra ripropone nel formato digitalizzato Modlight una quindicina dei cinquantacinque autoritratti realizzati dall’artista. Tra questi, Autoritratto con collana, Autoritratto con treccia (1941), Autoritratto con scimmie (1945), La colonna spezzata (1944), Il cervo ferito (1946).
Infine, Diego e io (1949). Diego Rivera, il marito, l’amante ma anche l’antagonista di Frida. È a lui che Frida mostra i suoi primi dipinti. È lui che, affascinato dal suo talento e dalla sua persona, la incoraggia a continuare la sua carriera artistica. Ma è anche lui a farla soffrire tradendola continuamente. Frida racconta: “Ho avuto due gravi incidenti nella mia vita. Uno era a causa di un autobus, l’altro era Diego. Diego è stato di gran lunga il peggiore”. La mostra indaga quest’amore profondo e travagliato esponendo per la prima volta sono alcune opere di Rivera come La Nina de losabanicos del 1913, il Ritratto di Frida del 1954 e alcuni sue litografie provenienti da collezioni private. Al piano superiore vengono anche proiettate anche alcune delle lettere che Frida scrive al marito.
Frida, infatti, esprime se stessa anche attraverso la scrittura. La mostra propone alcuni diari, frammenti, lettere e fotografie di Leonet Matiz Espinoza che la immortalano in ambienti privati; tutti elementi consentono di penetrare ulteriormente nella sfera intima dell’artista.
L’esperienza del visitatore giunge a termine nella sala cinematografica multimediale 10D. Il film di animazione “Frida – il viaggio” (DNArtTheMovie), realizzato appositamente per la mostra, unisce la visione in tre dimensioni a effetti speciali, sonori e tattili. Quest’ultima tappa nel mondo di Frida rende il viaggio ancora più realistico e indimenticabile.