Ha fatto il giro del web la notizia dei tre studenti napoletani dell’Istituto Tecnico Industriale “Augusto Righi”, che, a seguito di una vittoria con accesso alla finale di un concorso internazionale di robotica, lo Zero Robotics, non avrebbero potuto partecipare alla finalissima a Boston, negli Stati Uniti, per via della carenza di fondi e dei problemi economici della loro scuola. Venute a conoscenza di questa situazione, diverse autorità politiche, ma anche alcuni privati, si sono subito attivate affinché all’istituto scolastico in questione potessero arrivare dei finanziamenti, per sostenere le spese del viaggio e consentire, appunto, ai giovani di partire. Ad interessarsi, in primis, sono stati la Presidente del Senato, Maria Luisa Casellati, il Vicepremier e Ministro, Luigi Di Maio e il Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca.
Tuttavia, la verità dei fatti è un po’ diversa da quella emersa all’inizio e raccontata dai giornali negli scorsi giorni. Possiamo dire che si è incappati – volendo usare un anglicismo che tanto piace oggi – in una sorta di misunderstanding. Ebbene, i ragazzi napoletani non sono ancora in finale e, per di più, quest’ultima si terrà ad Alicante, in Spagna, e non a Boston. A far notare che qualcosa non tornava, oltre ad uno studente del “Natta”, un istituto superiore di Rivoli, anch’esso in gara, è stato lo stesso Politecnico di Torino, che coordina la sezione europea del concorso. Secondo quanto precisato dal Politecnico, gli studenti del Righi, invero, si sono posizionati secondi in una fase preliminare e ora, insieme ad altre 84 squadre, tra cui altre italiane, dovranno continuare la corsa per la finale, che, per l’area europea si terrà, come si diceva, ad Alicante. In buona sostanza, anche se si potrebbe fare, la partecipazione al Mit di Boston – dove si terrà la finale per l’area delle Americhe – a quanto pare, non risulta essere necessaria ai fini del buon esito del lavoro e di un eventuale successo.
Praticamente, dunque, per alcuni giorni, tutte le principali testate giornalistiche hanno diffuso un’informazione non corretta, senza verificare e senza, per altro, essere smentite dalla scuola. Alcuni hanno parlato esplicitamente di “bufala”, anche se la preside ha tenuto a precisare che, data l’altissima probabilità di vittoria, da parte loro vi è stata solo l’intenzione di assecondare il sogno degli alunni di andare al Mit, aggiungendo che, comunque, l’istituto non ha ricevuto fondi.
In conclusione, tralasciando tutto ciò, e tralasciando anche la ricerca sul chi attribuire la colpa di questo fraintendimento, tuttavia noi, dal canto nostro, vogliamo muovere una riflessione un po’ diversa. Vogliamo farlo, infatti, sulla base di una dichiarazione rilasciata proprio dai tre studenti coinvolti nella vicenda: «Non è facile per le scuole italiane e del Mezzogiorno in particolare competere con le scuole dei grandi colossi economici mondiali nel settore della ricerca aerospaziale senza strutture adeguate e senza nemmeno i soldi per andare a Boston per la finale internazionale di una competizione».
Al di là della verità inerente alla vittoria e alla partecipazione a Boston o meno, a ben guardare, in queste parole, c’è, però, sicuramente una verità incontestabile, ovvero quella che vede una situazione scolastica in Italia, specie nel Sud, particolarmente problematica e precaria. Su questo singolo episodio si è, di certo, creata confusione, ma la condizione di base di scarsità economica è reale e non si può negare. Ed allora, più che urlare allo scandalo, noi, ritenendolo più utile, vogliamo cogliere anche questa occasione per sollecitare sempre di più la classe politica affinché intervenga; e lo faccia non solo con provvedimenti di emergenza – come in questo caso che si era venuto a delineare, seppure, tra virgolette, “fittiziamente” – bensì finalmente con degli investimenti capaci di produrre cambiamenti strutturali e sviluppo di qualità. I nostri giovani, difatti, non meritano di “scaldarsi con la legna che si ha”, come ha recentemente sostenuto l’attuale Ministro dell’Istituzione. I nostri giovani, piuttosto, hanno tutti, a prescindere dalla situazione economica o da quale parte del Paese provengano, il diritto a studiare e a formarsi al meglio e agli stessi livelli dei loro coetanei nel resto d’Europa. Altrimenti, poi, non lamentiamoci se essi scendono in piazza a protestare, come hanno fatto in questi giorni, beccandosi, ingiustamente, pure qualche manganellata in testa.