Le storie calcistiche, si sa, sono popolate da simboli semplici e, spesso, da simpatici animali: il week end appena concluso ha regalato emozioni e scontri diretti decisi da episodi sul filo di lana. Già nel pomeriggio di sabato c’erano state le prime avvisaglie di una giornata di campionato da ricordare con l’aquila biancoceleste del bravissimo Simone Inzaghi che ha affondato i suoi artigli nel collo della zebra bianconera: i campioni d’Italia sono in diffcoltà, traditi da una difesa che non è più quella di una volta e da un attacco che nelle ultime due giornate ha tradito nel momento decisivo. E così in testa alla classifica, il beata solitudine, si ritrova il veccio ciucciariello napoletano, che domina all’Olimpico (fanno sorridere le recriminazioni dei giallorossi per i due legni colpiti nel finale dopo 70 minuti passati a inseguire, invano, il pallone comandato dai partenopei) e si mette a guardare tutti dall’alto verso il basso. Guidato dal condottiero Maurizio Sarri, cocciuto, prezioso e inelegante proprio come l’equino azzurro, il Napoli mostra coerenza e mentalità sbancando l’Olimpico con merito. Ma nella serata di ieri ci ha pensato il biscione nerazzurro, letale e velenoso come il suo attaccante Icardi, una sentenza un area di rigore, a mettersi a meno due dagli azzurri: quella nerazzurra è una squadra solida, bruttina, ma unica nella sua capacità di sfruttare gli errori altrui; una squadra che potremmo definire antipatica, come il suo allenatore, ma pericolosa e prossima avversaria della capolista sabato sera al san Paolo.
All’Olimpico, come detto, per oltre un’ora si vede in campo una sola squadra: gli azzurri comandano il gioco e nascondono la palla ai frustrati avversari (leggasi Dzeko) che non riescono mai a creare pericoli alla porta difesa da un più convincente Reina. Il gol del vantaggio azzurro nasce dalla solita combinazione nata sulla sinistra dell’attacco del Napoli; un rimpallo con De Rossi regala palla ad Insigne che controlla e batte Alisson in una frazione di secondo, lasciando all’estremo giallorosso solo il tempo di un rassegnato inchino. Il giropalla dei napoletani è continuo e coinvolge proprio tutti, finanche il portiere, è una tortura per gli avversari costretti ad affannose rincorse. La sola colpa del Napoli è quella di non chiudere la gara, Hamsik e Mertens sparano a salve nel momento di maggiore pericolosità dei partenopei e la grande bellezza del calcio sarrista non basta a mettersi al riparo da un ritorno di rabbia della Roma che, approfittando di un calo fisiologico e mentale degli ospiti, va vicina al pari con i giganteschi Fazio e Dzeko che trovano rispettivamente Reina (e il palo) e poi la traversa a mortifcare lo sforzo offensivo.
Nei momenti di difficoltà si ergono a protagonisti i due centrali azzurri: Albiol e, soprattutto, un insuperabile Koulibaly, ormai sempre più lanciato verso l’elite dei difensori di livello mondiale, senza dimenticare l’inesauribile Allan che attacca e difende, pressa qualunque nemico in possesso di palla dando vita a duelli rusticani contro il centrocampisti romanisti. Sarri fiuta il pericolo e cambia due terzi di mediana richiamando Hamsik e l’ammonito Jorginho per inserire la freschezza di Zielinski e Diawara che ripagano solo in parte. Gli ultimi minuti sono sofferenza pura per gli azzurri che iniziano a subire, dal lato di Hysaj, le percussioni di Perotti e Kolarov. L’ultima occasione dei giallorrossi viene salvata da un Pepe Reina finalmente attento tra i pali (anche se non sempre convincente in uscita) e, come sempre, preziosissimo nel gioco con i piedi. Alla fine è vittoria e delirio per i calciatori che ringraziano i tanti napoletani accorsi da tutta Italia per continuare ad inseguire il sogno scudetto. Più 5 sulla Juve in attesa dello scontro diretto con i nerazzurri di Spalletti che potrebbe dare ulteriori indicazioni sul futuro del campionato e sul ruolo che i milanesi potranno avere nel proseguo del torneo.