Natale si avvicina e con esso il consumismo e lo spreco che lo accompagnano. A Napoli la tradizione risiede non solo nel presepe e negli “zampognari”, ma soprattutto nel cibo.
Il cenone della Vigilia in particolare è accompagnato da uno sterminio apocalittico di fauna marina tale da indurre al coma diabetico i commensali; l’anno scorso ci occupammo dei gamberi e quello precedente del “capitone”, quest’anno cercheremo di capire quale animale era in origine il “baccalà”, o meglio la crudeltà che accompagna il famoso “pezzull e baccalà”.
Il temine “baccalà” deriva dai temini tedeschi bakkel-jau, trasposizione di bakel-jau che significa “duro come una corda”; questa tecnica di conservazione con “salagione” deriva storicamente ai pescatori di balene che, appunto per seguirne i branchi, arrivati nel Mare del Nord si imbatterono nei Merluzzi e ne conservarono la carne con lo stesso procedimento che utilizzavano per le balene.
Il Gadus Macrocephalus, meglio conosciuto come Merluzzo nordico è un pesce osseo d’acqua salata tipico del Pacifico settentrionale.
Si tratta di un grosso pesce a forma di lancia che può arrivare al peso massimo di 40 kg ed ai 120 cm di lunghezza; è facilmente distinguibile per le tre pinne dorsali e le due anali e la mascella superiore prominente; la barbiglia, folta sul mento, è funzionale alla ricerca del cibo.
Terminato il periodo estivo, il nostro pesce, si sposta in acque meno profonde per accoppiarsi e riprodursi, il numero di uovo deposte è tanto numeroso quanto quello dei predatori; le uova si schiudono dopo circa un mese.
Il nome merluzzo deriva dal nome attribuito dagli antichi romani “mar lucius” per la sua somiglianza con il luccio di mare.
In natura vivrebbe in branchi numerosi, purtroppo al momento si trova prevalentemente in allevamento.
Il merluzzo nordico è sfruttato ed abusato a scopo alimentare: da ciò che serve a costituire bastoncini e surimi fino appunto alla sua salatura per divenire “baccalà”; proprio per questo è divenuto oggetto di pesca intensiva.
È stato stimato che negli ultimi 50 anni il pescato è addirittura aumentato di ben 4 volte.
A natale e pasqua si sposano campagne per salvare agnellini, capretti, conigli; ci scandalizziamo per il festival di Yulin in Cina, eppure non ci sfiora nemmeno un’ombra di tristezza per tutti questi pesci che vengono sterminati.
Quello dei pesci è un dolore “muto”, una sofferenza inascoltata: vengono pescati, lasciati morire di asfissia, surgelati o sventrati ancora vivi… se ci fermiamo a riflettere tutto questo è agghiacciante, ci fa capire quanto ancora siamo lontani empaticamente da ciò in cui non ci riconosciamo. La mancanza di caratteristiche neoteniche o di un soffice pelo da accarezzare o il fatto che le grida di dolore non vengano emesse non rende queste morti meno dolorose.
Comprendo la tradizione, ma personalmente trovo che il bello delle tradizioni sia crearne di nuove, stravolgerle, farle proprie.
Io ho scelto che sia natale per tutti, quindi mi appresto ad una cenone della vigilia di vita e non di morte, una tavola bella, invitante, colorata, ma priva di sofferenza, palese o meno, e poi come diceva in un famoso sketch comico Siani, vale la pena “appuzzolentire” un’intera casa per un “pezzullo” di baccalà che alla fine piace a pochi?!