Esperimento di questa settimana: entrare nella macchina del tempo; digitare una data e un luogo a caso; vedere cosa succede.
Stamattina mi sono svegliato con quest’idea e così, senza un vero motivo, mi ritrovo a sorseggiare un caffè molto lungo in un bar la cui vetrata offre una bellissima visuale sul Ponte Verrazzano, che collega i due quartieri di Staten Island (che vedo all’altro capo, oltre il braccio di mare) e Brooklyn, dove mi trovo.
Ho comprato dei giornali da sfogliare per informarmi un po’ su cosa sta succedendo a New York e per avere conferma della data di arrivo. Ci sono, è il 7 giugno 1976 e sulle pagine di cultura del New York Magazine c’è un titolo che cattura la mia attenzione: Tribal Rites of The New Saturday Night. L’articolo è firmato dal britannico Nik Cohn, un’istituzione del giornalismo musicale, uno dei padri della critica rock.
Mentre la lettura del suo pezzo inizia ad appassionarmi con la descrizione di una nuova subcultura giovanile e proletaria che si sta diffondendo nei locali disco di New York, realizzo che oggi (1976) Cohn ha solo 30 anni e dopotutto non è ancora così famoso.
Mi metto subito a fare qualche ricerca. Tra pile di elenchi telefonici e qualche cabina a gettoni, in meno di un’ora la giovane voce con accento irlandese mi risponde cortesemente all’altro capo del filo. Coi miei 43 anni di vantaggio sul presente non è difficile spacciarmi per un collega e l’appuntamento con lui è fissato per domani mattina. Ah, l’America!
Alle dieci in punto la porta del Cafè Italia si apre e un trafelato Nik, camicia sbottonata, cappello di paglia, occhiali da sole tondi, zainetto in spalla, tutto in perfetto stile “turista”, si fionda al mio tavolo ordinando un caffè doppio.
“Credo di aver combinato un casino.” esordisce.
Bande, giovani di classe proletaria che cercano riscatto sociale, bullismo, violenza, emigrazione, droga, una visione disillusa della vita e una specie di sottocultura che collega tutto ciò al ballo e alle discoteche newyorkesi: tutto falso. Nick Cohn, un (non ancora) monumento vivente della critica musicale, mi sta confessando che l’articolo che ho letto ieri è una grossa, grassa bufala. Nessun report, tutto inventato di sana pianta, tanto nessuno, dice, si metterebbe a controllare. Sono a bocca aperta, Nick è solo un trentenne da poco arrivato in America al quale, poche sera fa, una rissa all’esterno di un locale da ballo ha ispirato quella storia.
Non nascondo un filo di delusione, già immaginavo di potermi immergere nella Grande Mela ad esaminare un fenomeno musical-culturale al fianco di un grande come Cohn. Forse l’idea di selezionare una data casuale non è stata così felice. Già sono pronto a ripartire, ma il racconto del giornalista non è ancora finito.
“Poco fa mi ha telefonato Robert Stigwood, se non sai chi sia, è un produttore teatrale, televisivo e cinematografico. Per dirtene una, ha prodotto Jesus Christ Superstar”.
La cosa si fa interessante, anche se non capisco dove vuole arrivare Nik. Cosa c’entra adesso sto produttore?
“Oltretutto Stigwood è il manager dei Bee Gees”.
Beh, quelli si che li conosco, mi sa che il tizio mi ha convinto a restare un altro po’.
Robert Stigwood ha letto l’articolo di Nik Cohn e, a quanto pare, è interessato ad acquistare i diritti per una versione cinematografica della storia che il giornalista ha raccontato sulle pagine del New York Magazine. Ha già in mente tutto, colonna sonora disco compresa, di cui ovviamente affiderà la realizzazione ai falsetti più famosi della musica, i fratelli Gibb, meglio noti come Bee Gees.
A questo punto del racconto capisco cosa sta per succedere. Saluto Nick, gli faccio i miei migliori auguri, pago i caffè e scappo alla Macchina. Grazie a questa storia incredibile, tra un anno e mezzo nascerà un mito.
Sono proprio i ragazzi dei Bee Gees a mettere la ciliegina sulla torta. Stigwood ha già deciso anche il titolo del film, vuole che si chiami Saturday Night. Ai Bee Gees suona debole e già sentito. Perchè non chiamarlo Night Fever, come uno dei brani del loro nuovo album? Al produttore piace l’idea del “sabato” ma anche quella della “febbre”. Affare fatto, vada per Saturday Night Fever.
Il 16 dicembre del 1977 sono seduto in sala col mio secchio gigante di popcorn. Le luci si spengono e sullo schermo appare Tony Manero. Neppure John Travolta lo sospetta, ma sta per entrare nella storia.
Una settimana dopo, il disco della colonna sonora, trainato da hits come Night Fever, More Than a Woman, You Should Be Dancing, How Deep Is Your Love, va in testa alle classifiche e ci rimane per 24 settimane.
Fino al 1982, anno in cui sarà superato da Thriller di Michael Jackson, sarà il disco più venduto di sempre.
E cosa ne è stato del nostro Nick? Beh, lui è diventato l’istituzione che conosciamo. Ha svelato pubblicamente il suo “piccolo segreto” solo a metà degli anni ’90!
Capito cosa può succedere a raccontare per bene una storiella inventata?