27 gennaio 1945 : le truppe sovietiche arrivarono ad Auschwitz e rivelarono al mondo il dramma della soluzione finale.
Camere a gas, forni crematori, ferrovie dedicate, treni merci adibiti, campi di lavoro forzato… azioni umane inenarrabili che ancora ora sono vive negli sguardi dei pochi superstiti che con fatica continuano a raccontare.
Sami Modano, Liliana Segre, Edith Bruck , le sorelle Tatiana e Andra Bucci sono solo una piccola parte dei testimoni che hanno fatto della memoria la forza della comunicazione e della conoscenza, attraverso molteplici incontri con le scuole che divengono davvero luogo di cultura ovvero di apprendimento attivo da parte di chi fu testimone di questa triste pagina di storia.
Ognuno di loro ha consegnato immagini tremende di uno stato di abbandono e disumanizzazione se si pensa al racconto che fa Edith Bruck delle Kapos incontrate nel corso della sua vita per le strade di Roma, in un negozio di alimentari, intente entrambe nella normalità recuperata a far la spesa. Eppure lei racconta la sua paura, per sé e per la sua salute pensando ad un possibile avvelenamento nel tè che la invitava a prendere, perseguitandola per giorni, temendo forse una sua denuncia alle autorità per un passato indegno che la tormentava e per cui temeva di pagare con la giustizia, ma Edith Bruck non l’ha mai denunciata: entrambe hanno vissuto a loro modo il terrore e ad un certo punto, la donna che descrive col cappotto verde, scompare per sempre da Roma e non si videro più. Le Kapos erano sempre ebree, utilizzate dalle forze naziste per punire e spaventare a morte, se non uccidere le prigioniere di guerra, proprio come loro, disposte a tutto pur di salvarsi. Sono state uno degli impianti più diabolici delle macchine della morte, perchè divenivano spietate come i loro aguzzini nei confronti dei propri fratelli e sorelle deportati, a presidio delle baracche, dei forni, delle camere a gas ma munite di frustini, armi e violenta ferocia da scagliare contro i malcapitati.
Questo processo di disuminanizzazione è la chiave di lettura più drammatica del regime nazista la cui logica era l’annientamento fisico, morale, mentale, psicologico delle migliaia di uomini e donne che hanno attraversato la distruzione dei campi di sterminio costruiti con una perfezione brutale, senza considerare la violenza inaudita esercitata anche nei confronti dei bambini e dei neonati visti tutti come nemici da eliminare – sebbene assolutamente innocenti e innocui – subito attraverso le camere a gas o gli esperimenti del medico Mengele, colpevole di una lista interminabile di reati, crimini di guerra, ma anche torture e atroci sofferenze a cui sottoporre le cavie per scoprire una genetica perfetta della razza ariana che farneticava nella sua mente e nella sua indicibile crudeltà.
E’ il disprezzo di una razza, di una fede religiosa vissuta come colpa e come tale condannata. E’ così che si sono sentite le persone quando sono state prima deportate dopo il divieto assoluto di vita sociale, di scuola, di lavoro e poi anche quando sono rientrate. Primo Levi è stato l’esempio di quanto il racconto dell’inverosimile e la difficoltà di credere a quello che avevano vissuto è stato l’elemento della sua fortissima depressione e, in seguito, rinuncia alla vita, rimasta bloccata in quelle baracche, in quagli appelli, in quella morte.
Attraverso le testimonianze dei superstiti sono state scoperte le crudeli scelte degli aguzzini di una macchina tremenda della morte che partiva dai treni merci dove i singoli vagoni erano costruiti per cominciare lo sterminio disumano di ebrei in primis ma anche di malati, disabili, omosessuali , zingari e avversari politici, costretti ad un viaggio lunghissimo al freddo, in piedi, senza aria nè cibo, nè acqua se non centellinata a goccia.
Giunti a destinazione, si entrava direttamente nell’inferno dove una commissione di medici con un semplice gesto delle dita concedeva il “dono” della vita o della morte a chi sfilava alla discesa dai vagoni con morti terribili tra camere a gas e forni crematori, se non stremati dal lavoro o divorati dalla ferocia dei cani addestrati per uccidere, anche loro.
E così nel freddo gelido delle zone scelte per la costruzione dei lager gli uomini e le donne divenivano scheletri ambulanti in cerca di rifugio, di un riparo, sospinti dalla speranza di salvarsi e di sopravvivere anche se molti si sono lasciati morire dentro dal proprio silenzio perché al rientro non era facile essere ascoltati e creduti.
La macchina dello sterminio era perfetta e diabolica nell’essere campi di annientamento dissimulati da campi di lavoro dietro la ignobile iscrizione all’ingresso che serviva per illudere chi arrivava di trovarsi prigioniero di campi di lavoro forzato e non di un’opera studiata scrupolosamente e che serviva a far scomparire lentamente e nelle atroci sofferenze una razza, un genocidio artato e meticoloso con pochi sopravvissuti agli appelli interminabili , agli attacchi dei cani, alla babele di lingue sconosciute, alle fucilazioni improvvise, alle ferite infette, alle malattie diffuse, alla mancanza di riposo fisico e mentale, all’accapparamento di un cappotto o di una scarpa, all’emarginazione più totale perché ogni detenuto era solo al mondo perché il primo attacco disumano era proprio la divisione cruenta e coartata dalla propria famiglia, uno strappo dai propri cari di cui per molti si scoprirà il destino solo anni dopo la fine della guerra.
Oggi a distanza di 80 anni da quella fatidica data sembra che nulla sia cambiato e che le testimonianze sofferte dei superstiti siano state evanescenti…anche il rimbombo delle loro parole è come se fosse distante, non fa trasalire più perchè sta aumentando una forma di fretta folle che non ci permette di fermarci e pensare, di cogliere davvero il presente, e, con esso, il racconto di ciò che siamo stati per decidere cosa e chi vogliamo essere.
Siamo piombati in un mondo di guerre e isolamento dove la prepotenza del più forte pretende la conquista territoriale di ciò che appartiene ad altri con l’idea di una superiorità meritevole e determinata, non più dalla razza ma dalla ricchezza, dall’esercizio della forza, dalla supremazia, banalmente dal potere che oggi non si quantifica più in territori, carri armati o denaro, ma direttamente nel controllo delle menti. Oggi questo non è più fantascienza.
Non ci troviamo più di fronte a Hitler ma il mondo di oggi presenta dittatori comunque molto pericolosi che hanno dimenticato ciò che è stato, che hanno mire personali fatte di vanità e arroganze, portando dietro di sé una scia di morte e sofferenza se si pensa alle vittime, molti bambini, dei conflitti russo-ucraino o israelo-palestinese con tutte le questioni di razzismo e intolleranza tipiche di un’altra epoca e invece, amaramente, così attuali.
Per decenni ci siamo illusi che il mondo fosse cambiato, che nessun altro avrebbe mai potuto mettere in moto la macchina della morte distruggendo un popolo o uno stato per propria vanità e potere .
Siamo l’esito dell’ oltraggio al significato delle parole che si è dimenticato, respinto, abbandonato.
L’olocausto ha rappresentato una pagina brutale e nera della storia dell’umanità e bastava questo per far spaventare e disinnescare ogni forma di violenza, odio, razzismo nei confronti di popoli e persone.
Oggi però improvvisamente ci ritroviamo in un mondo non solo di guerre ma di intolleranza, indifferenza, insofferenza, incapacità di empatia …e di ignoranza che diviene perfettamente funzionale a quelle forme di estremismo politico ideologico che non dà alcuna valenza alle idee e ai pensieri degli intellettuali – che sono ormai rari – volti a migliorare il mondo, tutt’altro divengono occasioni di divisioni, incremento di odio e aumento delle distanze, sempre più abissali anche a causa dei nuovi media che hanno spezzato il dialogo, la conoscenza, l’ascolto e lo studio fermando quella necessaria crescita dell’umanità, unico vero sistema di difesa di fronte a chi vuole imporre idee e ideologie.
La parola, scritta o ascoltata, è quasi scomparsa, come se non interessasse…le immagini hanno preso il sopravvento unitamente alla mistificazione della realtà favorita dall’intelligenza artificiale e tutto questo si ritrova immenso nelle affermazioni politiche degli ultimi anni: Orban, Trump, Putin, Netanyahu, sono tutti politici che non parlano né ascoltano ma attaccano, disseminano odio, dividono, sbraitano e isolano se non dimenticano gli ultimi .
E così il Golfo del Messico scompare con un click dalle carte geografiche come se bastasse per sterminare o arginare un popolo di emigranti in cerca di un’alternativa di vita oppure si nega il problema mondiale del cambiamento climatico come se fosse una costruzione mentale quasi psicotica dei nemici del progresso. Ed è in questo modo che la parola annienta la verità e cerca di prosciugare le ultime risorse esistenti sulla terra.
Non è un caso che durante la cerimonia delle presidenziali americane accanto a Trump si trovassero schierati gli uomini più ricchi della Terra che non hanno mai parlato di pace, non hanno mai accennato all’accoglienza, che non hanno sfiorato nemmeno minimamente i temi della povertà e della creazione di opportunità per l’umanità …no assolutamente tutte le parole, quelle poche dette erano violente, urlate, espressioni di vere dichiarazioni di guerra alla pace, di indifferenza ai problemi dell’umanità, di concentrazione massima di potere, arroganza, onnipotenza, di gesti con significati allusivi o volutamente provocatori. Si è persa la serietà e il rispetto sia dei gesti che delle parole.
Più che le presidenziali sembrava la consacrazione di un Impero assoluto ma non fatto di potere territoriale, come sempre è stato nella storia dell’umanità, da secoli dettato dai voti ottenuti perché per la prima volta si presenta come un potere mondiale che attraverso la forza della persuasione indotta e convincente dei media sta cambiando le idee delle persone, dirottandole sui loro specifici interessi personali con il tentativo di cancellare la capacità autonoma di pensare e agire.
E così ricordare il giorno della memoria, ribadire la forza delle parole e dell’importanza del rispetto del valore di ogni uomo e donna senza guardare a null’altro che alla loro essenza di persone diviene fondamento nuovo rivoluzionario in un mondo in cui il valore delle parole si sta perdendo con il rischio come denuncia Liliana Segre che della tragedia dell’Olocausto resti solo un trafiletto sui libri di storia dimenticando del tutto dramma e crudeltà che hanno caratterizzato la folle disumanizzazione del nazismo e di ogni forma di autoritarismo che si rafforza sulle debolezze e sulle paure e si alimenta dell’ignoranza.
Ecco perché è proprio la parola, solo la parola la vera forza del dissenso e della dissuasione.