Dopo due anni, dopo ”Mister Felicità”, Alessandro Siani torna al cinema, con un altro film da lui scritto, diretto e interpretato: “Il giorno più bello del mondo”; stavolta, però, cambia partner per la sceneggiatura, lasciando Fabio Bonifacci e tornando al contributo di Gianluca Ansanelli, con cui aveva già firmato ”Si accettano miracoli”.
Arturo Meraviglia è il classico “sfigato”, laddove ha portato alla completa rovina una sorta di piccolo teatro ereditato dal padre, che gli raccontava sempre di come la sua vera missione fosse quella di regalare agli spettatori la “gioia pura”, nutrita dallo stupore delle evoluzioni dei circensi e degli artisti che gestiva. La qualifica di “impresario”, visto che non ha una lira ed è pieno di creditori agguerriti che puntualmente gli fanno visita, è fin troppo generosa, visto che l’unica unità di “personale” da gestire è un tal “Poki Poki” (Giovanni Esposito), che ridere certo non fa. Non sembra, quindi, esservi un avvenire diverso da quello di essere perseguitato all’infinito dalla sterminata platea di chi vanta soldi. A quanto pare, costituita dall’intero quartiere e zone limitrofe.
All’improvviso, gli arriva però la telefonata di una notaio, che gli parla dell’eredità lasciata da un fantomatico “Zio Frank” emigrato all’estero (Noi lo chiamavamo sempre Ciccillo, la gag di Siani al cospetto del notaio, per giustificare il fatto che non se ne ricordasse). La sua aspettativa di poter contare su una inaspettata liquidità si infrange contro la dura realtà. Lo zio passato a miglior vita non gli ha lasciato soldi, ville e barche. Macchè. Bensì, nel passare a miglior vita gli ha “elargito” nientedimeno che la tutela legale di due bambini: Rebecca (la piccola e brava Sara Ciocca) e Gioele.
Arturo è disperato. Oltre a non riuscire ad andare avanti già da sconsolato single, ora sente addosso tutto il peso della responsabilità nel dover cercare di sfamare anche i due ragazzini di cui dovrà prendersi cura; e, al ritorno, il primo approccio al frigo di quella che può dirsi sia casa che bottega è impietoso.
Ed è proprio durante una inverosimile colazione piena di nulla che scopre lo straordinario talento del piccolo Gioele. Il bimbo dispone di ampi poteri di telecinesi, ovvero la capacità di spostare oggetti e persone con la forza della mente. Arturo ha quindi un’intuizione. Quelle virtù potrebbero ripristinare la sua dignità, ritenendo di poterle mettere al servizio delle sue velleità di imprenditore del campo circense, che improvvisamente si ridestano nel suo inconscio ferito e travagliato.
Tuttavia, a fronte di questi suoi rinnovati propositi, qualcuno è intenzionato a mettergli più di un bastone fra le ruote. Per l’esattezza, trattasi di un inverosimile team di scienziati che – nel sembrare liberamente tratti, per postura e vestiario, dalla serie “Maze Runner” con Dylan O’Brien – per motivi del tutto ignoti focalizzano le proprie attenzioni sui “bambini prodigio”, dei quali vanno alla ricerca in tutto il mondo.
Un paio di questi scorgono Gioele, e hanno tutta l’intenzione di volerlo portare presso il proprio centro di ricerca. Stefania Spampinato cerca di gettare l’esca assumendosi il comando delle operazioni per arrivare a tanto e Arturo, che sin da subito prova un debole per lei, dovrà in tutti i modi cercare di proteggerlo anche dai subdoli trucchetti (Stefano Pesce è bravissimo nel ruolo dello scienziato detestabile, vanesio e senza scrupoli) che gli hanno teso per sottrarlo alla sua tutela.
Il film ha delle trovate carine, in alcuni momenti ostenta anche una meritoria spigliatezza e una opportuna sintesi, ma anche in questo caso, e mi duole dirlo, ritroviamo espressioni e gag che non mi pare si possano additare come ricorrenti per la maggior parte del popolo partenopeo. Uanema ‘e babbo è una locuzione che non siamo soliti rinvenire nella maggior parte della dialogica dei napoletani, eppure ne viene fatto un mantra per gran parte della pellicola.
Nel complesso, il film di Siani si presenta molto simile a “Si accettano miracoli”.
Siani, com’è ovvio, fa da mattatore, spalleggiato con efficacia da Giovanni Esposito, poliedrico più di quanto si creda (ricordiamo la sua interpretazione in “I Bastardi di Pizzofalcone” nel ruolo dell’ambiguo e indecifrabile Frate Leonardo), abile a interpretare un attorucolo di varietà senza né arte né parte che, tuttavia, resta sempre lì a guardare in alto la Luna come ad attendere che questa gli elargisca la sua “grande occasione”.
Il cinema di Siani presenta, grossomodo, sempre le stesse caratteristiche, stavolta, per sua stessa ammissione, con una spruzzata di libera ispirazione da Mel Brooks; una sceneggiatura scanzonata, con momenti di assoluta “guasconeria” partenopea e buonismo da grande pubblico, con il grosso limite che tali tratti vengono forzosamente riportati in scena con eccessiva sguaiatezza. Un po’ come quando si assiste alla “Sindrome di Lino Banfi”, dove la A diventa E solo nelle interpretazioni di questi, mica di tutti i baresi. Si è consapevoli dell’eccesso, ma si assiste ugualmente speranzosi, nella fiduciosa attesa che due esagerazioni consecutive siano quantomeno intervallate da un acuto interpretativo o narrativo. Che, ad esempio, poteva fondarsi su un miglior uso del ruolo del bambino magico, cosa che col tempo scema via via fino a sconfinare quasi nell’anonimato. Ed è un peccato, perché l’idea di imperniare la trama intorno ai talenti di un bimbo con poteri era carina, e rammentava vagamente anche quelle del bimbo di “Uno sceriffo extra-terrestre, poco extra e molto terrestre” del compianto Bud Spencer.
Creatività al servizio della comicità, quindi. E non viceversa. Ma, anche in questo film di Siani, ciò non sempre accade. Questi, infatti, si fa spesso prendere la mano e cede alla tentazione di ribadire sempre i medesimi cliché sui napoletani e su un suo modo di ostentare una irreale napoletanità, che non trova chissà quanti riscontri nella realtà (a meno di qualche colorito e risicato esempio possibile da rinvenire nel popolo) e che, quindi, resta riconducibile a una napoletanità presunta e assai poco spendibile, eccetto nei confronti di coloro che, con superficialità, la recepiscono come verosimile.
Peccato, perché il suo talento da saltimbanco della battute è innegabile. Tuttavia, sconta il fatto di riproporre, pure in questa sua fase nuova – che dovrebbe essere caratterizzata da una sopravvenuta maturità espressiva e gestuale – un certo numero di battute di tenore pseudo-infantile, spesso affiancate anche da poco riusciti tentativi di mettere sul piatto delle gag inedite e sorprendenti (ad esempio, quella dell’autocombustione provocatasi grazie a uno Zippo. Più che “stupire”, fa un po’ rapprendere lo stomaco per quanto è rabberciata e per niente contestualizzata).
Tuttavia, questo modus operandi è proprio il punto di forza e la debolezza del suo cinema: Siani è assai efficace nei siparietti da varietà, dove riesce a esporre la sua vera merce: una innata vis comica. La quale però, per essere godibile, deve evitare di diventare pretenziosa, se non addirittura moralistica. Carino il passaggio sulle “Storie della buonanotte” che propina ai due bambini in custodia per farli addormentare, abile a scomporre gli usuali schemi di personaggi noti delle favole per ricomporli in chiave “sianesca”.
Alla base di tutto, e questo va detto, c’è comunque grande professionalità, sua e di tutto il suo entourage. La fotografia e il montaggio sono molto curati, e ne va dato atto. Gianni Ferreri e Benedetto Casillo sono poi un’ottima aggiunta attoriale, per storia e riusciti tempi comici di inserimento in quei 3/4 frangenti dove sono stati “appostati”.
Simpatici anche alcuni fra gli effetti speciali. Tuttavia, i numerosi travalichi nel “kitch-mode” che pretende di abbinare un popolo a stereotipi comportamentali più falsi di una banconota da tre euro ne fanno scendere il voto.
Un film che poteva narrare, e bene, di magia. Ma che perde smalto sul più bello, laddove l’istinto dell’attore a riproporsi secondo vecchi e collaudati schemi ha, chiaramente, inciso al punto da annacquare, in gran parte, le potenzialità stesse della trama.