Il regista napoletano Edoardo De Angelis ci regala una nuova perla: “Il vizio della speranza”. Dopo aver incantato la Festa del Cinema di Roma (dove ha vinto il premio del pubblico) e il Tokyo International Film Festival (dove ha ottenuto riconoscimenti alla “miglior regia” e alla “migliore attrice protagonista”), il film è approdato nelle nostre sale il 22 novembre.
La protagonista della storia è Maria, una donna marcata da un abuso sessuale che l’ha privata della capacità di generare. La sua è una vita dannata: braccio destro di una pappona tossicomane, come un Caronte impassibile traghetta povere anime sul Volturno, prostitute nigeriane che affittano l’utero per sopravvivere. Quando Maria si scopre improvvisamente incinta però sente crescere col ventre il bisogno di essere migliore, di cercare una forma di moralità. Un giorno la fuga di una prostituta di nome Fatima che è decisa a tenere il suo bambino scuote Maria nel profondo e la spinge a fuggire anch’essa.
“Il Vizio Della Speranza” parte dall’idea che la speranza sia un male da cui non sappiamo staccarci e infatti la protagonista, nonostante le abbiano detto che per traumi subiti morirà nel dare alla luce il bambino, non si arrende, lo vuole.
Edoardo De Angelis parla della capacità della vita di vincere contro ogni squallore e ingiustizia, queste le sue stesse considerazioni in proposito: “La vita non può conoscere alcuna forma di barriera: è così prepotente che rompe anche il limite della disperazione. Il peggior nemico della disperazione è la vita che si tramanda.”
Per esprimere al meglio questo concetto il regista confeziona un film tutto al femminile affidandosi alla bravura di Pina Turco, Marina Confalone e Cristina Donadio. È donna il boss della camorra, sono donne quelle che fanno il lavoro sporco e picchiano per conto suo, mentre è uomo la parte sentimentale, incarnata dal personaggio del giostraio (Massimiliano Rossi).
Come in “Indivisibili”, troviamo una marcata simbologia religiosa: basti pensare alle tante moltiplicazioni “mariane”, tra Vergini, signore di Fatima, madri addolorate e immacolate concezioni. Il nome della protagonista è proprio “Maria”, che come la Madonna rimane incinta per miracolo, ma “Maria” è anche il nome della sua schiavista, che sul campo si è conquistata il titolo onorifico di “Zia” e sembra essere il controcanto oscuro della nostra eroina.
La pellicola di De Angelis si presenta nella sua totalità come un’allegoria religiosa: una nuova Natività calata nella desolazione della terra dei fuochi. Quello mostratoci nel film è un paesaggio che sembra ritrarre il Purgatorio, se non l’Inferno! Ne “Il Vizio della Speranza” primeggia il fiume Volturno, le cosiddette plastic beaches (spiagge che assomigliano più a discariche a cielo aperto), il Parco Saraceno con i suoi palazzi dalle mura scrostate occupati abusivamente. Tutti posti in cui di sera si attiva la piazza della droga e della prostituzione, che qui ci vengono mostrati come luoghi fuori dal mondo, universi a parte con le loro regole. L’atmosfera del film è quasi surreale (molto è dato dalle scenografie e dal look così particolare dei personaggi) tanto che ci sembra che la storia avvenga in un mondo parallelo, un mondo che però è tanto stravagante quanto realistico. Proprio questo a mio parere è il vero punto di forza del film!
Ritornando alle simbologie e alle metafore, anche la scelta dell’ambientazione non è casuale: negli anni ’60 Castel Volturno fu il luogo del sogno dei Fratelli Coppola, costruttori di Casal di Principe che cercarono di realizzare il progetto edilizio Pinetamare, sfruttando la bellezza di Castel Volturno. Qui doveva sorgere un’oasi residenziale a due passi dal mare, ma poi tutto è finito nell’abusivismo edilizio, fino a divenire una città fantasma. La protagonista de “Il Vizio della Speranza” cerca di essere una fenice e rinascere dalle sue ceneri, così come ci si augura che accada a questo territorio!
Una menzione speciale va alle bellissime musiche, che accompagnano la barca di Maria come bassi costanti. La musica è sempre centrale nei film di De Angelis e, come in “Indivisibili”, la colonna sonora è affidata al grande Enzo Avitabile.
“Le note di Enzo sono strettamente legate alle parole del copione, il suo ritmo è il ritmo del film, così come le note distese rappresentano i momenti di distensione del film.” ha dichiarato il regista “Non riesco a immaginare questo film senza le sue note, perché sono cresciute insieme al racconto e alla messa in scena: sono note nuove e al tempo stesso hanno una relazione molto stretta col passato. In particolare abbiamo usato delle sonorità sacre e degli strumenti molti antichi: volevamo evocare qualcosa di antico. Quando qualcosa di antico è valido ancora oggi vuol dire che è eterno.”
Unica nota di demerito: il film sembra che non decolli mai, ha un ritmo piuttosto lento e piatto. Mentre “Perez” o “Indivisibili” coinvolgono emotivamente lo spettatore, questa pellicola non riesce ad essere altrettanto efficace in tal senso, ma è comunque un’opera di un certo pregio.