Il 13 aprile è morto a Lima Mario Vargas Llosa. Lo riferisce il figlio Alvaro sui social. Scrittore e drammaturgo peruviano naturalizzato spagnolo, Llosa aveva 89 anni ed è morto “in pace circondato dalla sua famiglia”. Considerato uno dei massimi romanzieri e saggisti contemporanei, aveva ricevuto numerosi riconoscimenti tra cui il Premio Nobel per la Letteratura nel 2010 e il Premio Cervantes nel 1994.
Primo peruviano a vincere il Nobel per la Letteratura, Mario Vargas Llosa ha sempre creduto nella letteratura come impegno civile e visto nei demoni della scrittura una forza capace di trasformare la visione della realtà. ”La finzione è sempre una denuncia, è la prova di una rivolta, perché il romanziere è un ribelle, un uomo indignato per un aspetto o l’altro della realtà” scriveva nel 1969 lo scrittore.
L’ultimo, breve e malinconico romanzo di Mario Vargas Llosa uscirà in autunno nei Supercoralli Einaudi nella traduzione di Federica Niola. Si tratta de I Venti, un racconto sulla solitudine e sul mondo che verrà con protagonista un uomo ormai vecchio, perso tra le strade di una Madrid surreale, che vaga disperatamente alla ricerca della sua casa, mentre i “venti inopportuni” prodotti dal suo corpo non gli danno tregua.
Ricordiamo una piccola parte delle sue opere.
La guerra della fine del mondo
Alla fine dell’Ottocento, nel Nordest del Brasile, appare una strana figura di santo e di profeta – «le ossa sporgenti e gli occhi ardevano di un fuoco perpetuo» – che attira intorno a sé migliaia di persone sbandate e vinte dalle ingiustizie della vita. Così comincia la storia memorabile della piccola e remota Canudos, solitario avamposto contro l’immenso Brasile e incontaminato luogo di pace, che sarà raso al suolo e cancellato dal nuovo governo repubblicano. Raccontando «cose attuali, concrete, quotidiane, inevitabili come la fine del mondo e il giudizio universale», Vargas Llosa ricrea uno dei più tragici episodi della storia dell’America Latina, facendone un romanzo e una saga di forte intensità, specchio realistico e insieme fantastico delle crudeltà, speranze e illusioni dell’uomo.
La zia Julia e lo scribacchino
Pedro Camacho, detto il «Balzac creolo», è uno strano e fecondissimo inventore di trame melodrammatiche e truculente per un programma feuilleton di Radio Lima. Tutti in città attendono con impazienza le «puntate» della sua fantasia, fatte di arresti misteriosi, morti segrete, incesti, sangue e passioni. In parallelo scorre la storia di Mario – pallidamente autobiografica, come il nome del protagonista lascia intendere – giovane aspirante scrittore attratto da questa curiosa macchina dell’immaginario. Ma anche lui ha la sua storia complicata da raccontarci: s’innamora, quasi con platonica indifferenza, d’una zia vedova e più matura, che finirà per sposare, prima di trasferirsi in Europa e affermarsi come scrittore.
Avventure della ragazza cattiva
Nel 1950 il giovane Ricardo scopre di essere innamorato di una ragazza cattiva, una niña mala che lo fa impazzire con il suo charme ma gli dice sempre di no. Quando le loro strade si separano, Ricardo si trasferisce a Parigi. Ma anche qui la niña mala riappare, in una nuova versione: una militante del Mir in partenza per Cuba, dove verrà addestrata alla guerriglia. Da allora, nella vita di Ricardo, si alternano il lavoro di interprete e i tormenti che la ragazza cattiva gli infligge, in un crescendo che porterà il protagonista ad affrontare il suo vero sogno: scrivere. Un ritratto palpitante del mondo europeo e latinoamericano, dagli anni Sessanta agli anni Ottanta, un’ispirata rievocazione condotta senza nostalgie ma con lucida intensità, sostenuta da una scrittura che si fa sempre più limpida e rarefatta. Con protagonisti ed eventi reali e altri di fantasia, che insieme congiurano a creare l’affresco illuminante di un’intera stagione.
Il Paradiso è altrove
Il gioco appare non soltanto con la forza del ricordo, ma con il suo possente valore simbolico, di ricerca del Paradiso in terra, inteso come giustizia, bellezza, libertà, amore: l’Utopia, insomma. E due utopisti, a diverso titolo, sono Paul Gauguin e Flora Tristán, sua nonna materna, agitatrice sociale e proto-femminista, le cui vicende vengono narrate, in parallelo, da questo trascinante romanzo.
La città e i cani
«A questo mondo la violenza è una sorta di fatalità. In un Paese sottosviluppato come il mio, la violenza è esteriore, epidermica, è presente in ogni momento della vita individuale, è la radice di tutti i rapporti umani.»
Così rispondeva l’autore a chi, al momento della pubblicazione, gli chiedeva se La ciudad y los perros – bruciato in piazza dai militari, considerato dalla critica il migliore tra i suoi romanzi, – fosse un romanzo «sulla violenza». E la violenza – fisica e non – fa da sfondo al microcosmo del Collegio Leoncio Prado di Lima dove avviene l’educazione del protagonista-alter ego dell’autore. Un collegio retto da militari secondo una disciplina militare in cui confluiscono sia i figli delle classi inferiori ammessi per merito sia quelli delle classi alte mandati lí dalle famiglie nella speranza di domarli, e dove la sopraffazione, la forza bruta, il dispotismo sono le leggi della convivenza, a dispetto di regolamenti e norme. «Ero un bambino viziatissimo, presuntuosissimo, cresciuto, faccio per dire, come una bambina… Mio padre pensava che il Leoncio Prado avrebbe fatto di me un uomo, – ricorda Vargas Llosa, – ma per me fu come scoprire l’inferno.»
La festa del caprone
Nel 1961 un gruppo di dominicani decide di uccidere in un agguato il dittatore Rafael Leónidas Trujillo, il “Caprone”, padrone assoluto di Santo Domingo, violentatore e paternalista, che da trent’anni controlla le coscienze, i pensieri, i sogni dei cittadini… Molti anni dopo, Urania Cabral figlia dell’ex presidente del Senato Trujillo, professionista di successo, torna nella Santo Domingo che ha lasciato quattordicenne. Per chiudere i conti con un passato impossibile da rimuovere? Per vendicare torti e sofferenze? Per amore della sua terra, delle sue radici?