Fresco di pubblicazione il nuovo lavoro di Davide Rocco Colacrai, intitolato Ritratto del poeta in autunno – versi di malinconia e perdono, edito da Le Mezzelane. Il volume si compone di 30 poesie suddivise in 6 capitoli. L’Illustrazione di copertina dal prepotente richiamo picassiano è di Alessio Gherardini; la postfazione è del critico letterario Gianni Antonio Palumbo
L’autore parla di se attraverso la poesia, mentre molti utilizzano la scrittura fluida e semplice del romanzo lui sceglie i versi, riuscendo ad essere fruibile e facile da comprendere, non si perde in facili sillogismi, va diritto al punto su cosa gli piace, cosa lo spaventa. Sono molto affascinato da chi riesce ad esprimersi in versi, credo che non sia una cosa che non si “ impara”, la poesia è viscerale, con poche regole rigide “non a caso si parla di licenza poetica”. Ho tante curiosità su questo lavoro -pregno di riferimenti ed omaggi LGBTQA+- e contatto Davide per porgli qualche domanda.
Ritratto del poeta in autunno, ossia il tuo ritratto, ci racconti chi sei per chi non ti conosce ancora?
Innanzitutto permettimi di ringraziarti per l’ospitalità.
È molto difficile, per me, parlare di me stesso: credo sia il motivo principale per cui le persone che mi circondano amano definirmi un uomo misterioso: ascolto molto ma condivido molto poco della mia vita. E non lo faccio di proposito. È il mio modo di essere. Un po’ lupo solitario un po’ outsider.
Tornando alla tua domanda, penso di essere un instancabile sognatore, soprattutto per tutto quello che riguarda il mondo fuori: nonostante la vita non sia stata particolarmente gentile con me, riesco ancora a difendere il mio giardino interiore che mi fa vedere il buono negli altri: i colori nel viavai quotidiano.
Come si crea la struttura di una poesia?
Non sono capace di risponderti nella misura in cui – come mi diverto a raccontare – le mie poesie nascono in maniera completamente intuitiva secondo un processo che potrebbe paragonarsi a quello che permette a una persona che ha il dono della sensibilità – e che solitamente chiamiamo medium – di percepire prima e condividere successivamente cose di cui non si rende conto completamente. Mi hai fatto ricordare in questo che anni fa intitolarono una mia intervista così: Colacrai il poeta-medium.
Perché i poeti prediligono la malinconia?
Ti rivelo che si tratta di un pregiudizio che rende o dovrebbe rendere l’idea del poeta affascinante – o meglio: cool – proprio come quella dello scrittore. In realtà, soprattutto per creare – e parlo specificamente dell’atto di creazione e di gestazione di una poesia – ho bisogno di un istante di equilibrio interiore: si tratta di una forma di identificazione con l’Universo, attraverso il quale riesco a percepirlo a trecentosessanta gradi percependo tra l’altro tutti quei sogni che l’Universo piange perché abbandonati. La malinconia invece è necessaria, per quanto mi riguarda, per ritagliarmi uno spazio tutto mio nel quale galleggiare in compagnia dei miei pensieri. Da questo punto di vista potrebbe essere considerato, per certi versi, preliminare all’armonia creatrice.
La poesia Eva ha due papà a cosa si ispira?
Eva ha due papà è nata dopo aver letto Splendore di Margaret Mazzantini, per giunta in un’epoca storica – circa dieci anni fa – non molto diversa da quella odierna, nella quale non si potevano affrontare in poesia certe tematiche: infatti mi capitava spesso, nei concorsi letterari, che la poesia fosse apprezzata ma che non venisse premiata. Questo mi ha fatto ulteriormente intestardire sulla scelta degli argomenti da affrontare con i miei versi: scrivere alla fine è prendere posizione, è provocare e fare in modo che il lettore sia messo nella condizione di approfondire e studiare e formarsi un pensiero critico in modo da possedere tutti gli strumenti necessari con cui difendersi.
Nel volume convivono e si amalgamano perfettamente componimenti su Mia Martini, sulle vittime della Costa Concordia e sul tuo cagnolino Manny, c’è un filo conduttore che le accomuna un po’ tutte?
Il comune denominatore delle poesie può essere colto, secondo me, proprio nel sottotitolo del libro: versi di malinconia e di perdono. Si tratta in altre parole di personaggi e fatti storici che raccontano la vita: ognuno dal suo punto di vista. E non ce n’è uno che possa prevalere sull’altro o escluderlo. Si tratta dello straordinario puzzle che è la vita.
Matthew Shepard è suo malgrado un’icona gay, cosa ti ha colpito di lui?
È difficile, per me, risponderti in poche righe perché potrei scrivere una tesi di laurea trasversale sulla storia di Matthew Shepard. Ti dico solo che mi ha fatto molto male perché è come se – in parte ovviamente – raccontasse la mia storia e di quella di tutti coloro che, per un motivo o per un altro, vengono presi di mira e si trovano faccia a faccia con se stessi. Una storia ahimè ancora attuale.
C’è molto LGBTQA +, icone gay, omogenitorialità. Il tuo parere sui matrimoni gay e sulla maternità surrogata?
Ho un pensiero molto semplice, dal punto di vista strutturale e logico, sull’argomento: siamo principalmente figli di coppie eterosessuali e ognuno di noi è avvelenato da problemi e paure e pregiudizi e gelosie che porta nella società. Questa società è profondamente infelice e malata, e pretende che lo siamo tutti. Manca l’amore come sentimento e come valore. Corriamo dietro ad apparenze, ci struggiamo instancabilmente per cose ci rendono sempre più soli, siamo tesi verso il negativo e il brutto, non esiste una felicità condivisa ed è raro sentire un complimento sincero. In una società del genere – come già ti accennavo nella prima domanda – credo nei sogni d’amore e li sostengo. È una specie di fede. Tra l’altro ho conosciuto personalmente alcune famiglie arcobaleno e, proprio per i valori che vengono insegnati e condivisi, avrei voluto essere adottato da loro.