Pershendetje te gjitheve! L’Albania ci da il benvenuto in questa tappa letteraria.
Dopo la Seconda Guerra mondiale, la narrativa albanese conosce un’ importante crescita. Gli autori si ispirano al passato – sia al periodo della dominazione ottomana, sia alla resistenza contro l’occupazione nazi-fascista.
Nel periodo che segue la caduta del regime di Enver Hoxha, la forte ondata migratoria verso l’Italia ed altri paesi europei si riflette nei destini e nelle opere degli autori contemporanei. Alcuni autori albanesi si esprimono in italiano o in tedesco come, ma i loro romanzi ruotano sempre attorno alla ricerca dell’identità culturale e delle proprie radici.
Aprile spezzato di Ismail Kadaré
Gjorg vive nel nord dell’Albania, tra montagne e villaggi fermi nel tempo. Quando il fratello viene ucciso da un vicino di casa, la vita del giovane muta radicalmente: secondo l’antico codice del Kanun, Gjorg dovrà uccidere il colpevole dell’omicidio di suo fratello e accettare di essere poi, di lì a un mese, assassinato a sua volta da chi vorrà vendicarsi di lui. I trenta giorni che Gjorg ha davanti, fino alla metà di aprile, potrebbero essere gli ultimi della sua vita, così decide di fuggire per cercare di viverli il più pienamente possibile. Nel frattempo una giovane coppia è partita da Tirana in viaggio di nozze: Besun e Diana vogliono raggiungere gli altopiani settentrionali per studiare le tradizioni e le leggi rimaste intatte dal Medioevo, a dispetto della modernizzazione. Lungo il loro percorso incrociano il cammino del fuggitivo; la sposa, al primo sguardo, si innamora di Gjorg, mutando per sempre il destino dei tre protagonisti.
Il commissario Memo di Dritëro Agolli
Purezza, libertà, bellezza: la farfalla è un simbolo, nel mondo di Valentina. Un richiamo estetico e, insieme, il riflesso di una dimensione interiore. È come la figura materna: un orizzonte di Pienezza. Il positivo tutto intero. È come Valentina vorrebbe essere. Ha un messaggio semplice da trasmettere: danzare l’esistenza, attingere al nettare della vita, impegnare energie nel crescere, elargire frammenti di felicità. È fragile, la farfalla: conosce la precarietà. Ma se attraversa il cielo, o incrocia lo sguardo, ti dona un universo di emozioni, di sentimenti, di motivazioni. Ti riempie la vita di stupore. Non la dimentichi più! Ora che Valentina ha preso il volo – non più crisalide, ma farfalla vera – su quelle ali possiamo salire anche noi.
Volevo essere Madame Bovary di Anilda Ibrahimi
Hera è nata in un Paese del socialismo reale dove la donna lavora almeno quanto l’uomo e la bellezza è una colpa, soprattutto per una ragazza ambiziosa come lei. Da piccola divorava i romanzi di Tolstoj e Balzac, in cui le eroine sono tutte fedifraghe e di solito fanno una brutta fine, ma anche tanti libri di propaganda secondo cui l’ideale femminile è sposarsi e lavorare in campagna. Hera è cresciuta cosí, in bilico tra il desiderio di diventare qualcuno e la consapevolezza di dover rigare dritto, tra la voglia di vestirsi alla moda sfidando le censure del regime e i rimproveri di nonna Asmà. Poi, un giorno, è partita per Roma. In Italia all’inizio ha sofferto, si è sentita smarrita. Insieme a Stefano però ha trovato il suo centro: è diventata un’artista, ha dei figli che ama, non ha piú avuto paura di sembrare troppo. E allora cosa ci fa a Tirana con Skerd, uno con cui non ha nulla da condividere se non il corpo? E perché insieme a lui sente pulsare cosí forte l’eco della lingua madre? Hera non è piú quella ragazzina che cercava il grande amore nel dramma e negli uomini autoritari, ma ogni cosa intorno a lei sembra volerla ricacciare di nuovo nel passato da cui è fuggita. Con la sua voce essenziale e un umorismo piú tagliente che mai, Anilda Ibrahimi ha scritto un romanzo sulle insidie dell’appartenenza e della memoria, sui modelli femminili da incarnare e ribaltare, sull’importanza di rimanere fedeli a ciò che siamo diventati quando il tempo insiste per riportarci indietro.
Fuorimondo di Ornela Vorpsi
Davanti a casa di Maria c’è una striscia di terra sottile che è fatta per l’attesa. Lí si fermano le ragazze del paese: bussano e aspettano. Vogliono vedere i ragazzi, Luka, Artur, Enea, Johan, vogliono vedere Rudolf soprattutto, il bel Dolfi, che da quando ha smesso di suonare il violino passa il tempo sul divano a guardare la televisione muta, con il sorriso gentile e una tomba aperta nel petto. È per lui che viene Manuela, scialba e malinconica. Tra tutte è la più costante, quella che dell’attesa non si stanca. Dalla casa accanto, Tamar invece semplicemente guarda. Il destino le ha assegnato il ruolo di spettatrice, di chi assiste alla vita senza mai farne parte davvero. Finché un giorno, in quella terra dello smarrimento davanti a casa di Maria, compare il corpo senza vita di Manuela. Un’altra «giovane morte» dopo quella del piccolo Rafi, il bambino prodigio, che se n’è andato lasciando a Tamar un brivido carico di presagi. Attorno a queste due assenze, buchi neri nei quali precipita la vita di una comunità intera, si muovono personaggi da sogno o da incubo, figure struggenti colte in un presente che è insieme condensazione di una storia e prefigurazione di un destino: come Esmé, la madre senza grembo, che si rifugia nell’amore impossibile di chi non c’è più e si nega a chi invece la vuole con forza; zia Lali, che conosce l’arte di dire grazie; Nikolin, il calzolaio che conta le scarpe; e poi Dolfi con la sua bellezza succulenta, e naturalmente Tamar. È sua la voce che cuce i fili della vicenda, lo sguardo spaesato che rifiuta l’ovvietà e mette in questione ogni cosa, che dichiara e ritratta, rivela e nasconde. Ed è proprio grazie a queste smagliature nel tessuto della narrazione, grazie alla sfocatura perfettamente incarnata dalla scrittura straniante e poetica di Ornela Vorpsi, che Tamar ci costringe a dubitare dei confini che separano normalità e follia, colpa e innocenza, desiderio e rinuncia. In perfetto equilibrio tra gioia di vivere e dolore, Fuorimondo torna ad affrontare i temi cari all’autrice, ma ne esplora il lato più metafisico. Il ritratto di un universo abitato da fantasmi in carne e ossa, ognuno proiettato verso il suo personalissimo altrove, mentre su tutti incombe il fascino dell’altrove per definizione: perché forse andarsene per sempre, vivere solo nella memoria o nel rimorso di chi resta, è la forma più potente di esistenza.
Vergine giurata di Elvira Dones
Le Montagne Maledette. Qui, lo dicono le antiche leggi, la donna è solo l’ombra dell’uomo, il contenitore del suo seme, un otre fatto per sopportare. Ma la donna può anche sparare col fucile, bere grappa ed essere trattata da pari a pari: basta che diventi uomo. E così farà la bellissima Hana Doda, che respira poesia e sogna lingue lontane. Per amore dello zio morente e per sottrarsi – senza per questo infangare il nome del clan – a un matrimonio combinato, torna sui monti e fa voto di castità. Per la legge della sua gente Hana è ora una Vergine giurata, nel suo corpo di femmina racchiude l’onore, e il potere, di un maschio. Si fa chiamare Mark e l’intero villaggio la rispetta come un uomo. Uno struggente olocausto di sé che lei consuma in una solitudine cupa e magica. Beve e fuma, si abbrutisce e si imbruttisce nel tentativo di vincere la fatica, il freddo, l’isolamento e il richiamo di anima e corpo che bramano l’amore di un uomo. Tiene duro per quattordici anni, finché un giorno la donna sopravvissuta in Mark trova il coraggio di tradire il giuramento e fuggire in America, alla scoperta della Hana perduta.
Trattato di medicina in 19 racconti e ½ di Arben Dedja
Nel suo Trattato di Medicina, suddiviso in 19 racconti e ½, non c’è traccia delle centinaia, per non dire migliaia, di pagine che conferiscono “peso” a ogni trattato che si rispetti. Tanto meno si parla di medicina. Ci troviamo davanti a un libricino smilzo che mette il naso in faccende che ci riguardano: i retroscena della formazione universitaria dei futuri Ippocrate, la lotta dei medici per restare umani in una realtà ostile, la tragicommedia in scena nelle sale operatorie, i risvolti di una professione che è passione, missione e ossessione. Storie vere, surreali, paradossali. Quelle che “a volte la realtà supera di gran lunga la fantasia”. Dosi massicce d’ironia, cinismo e poesia. Tinte nero-gotico e rosso-splatter. La lettura è consigliata a un pubblico capace di restare appeso al filo della tensione nervosa. Con un’avvertenza: rispettare la posologia suggerita dal medico-scrittore. Commuoversi dolcemente, ridere amaramente.