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© 2022 Senzalinea testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Napoli n. 57 del 11/11/2015.Direttore Responsabile Enrico Pentonieri
Libri

ITINERARIO LETTERARIO EUROPEO: BOSNIA-ERZEGOVINA

Cristiana Abbate
Cristiana Abbate 1 anno ago
Updated 2021/02/16 at 6:19 AM
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9 Min Lettura
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Benvenuti in Bosnia, nuova tappa, nuovo viaggio attraverso i libri.

In Bosnia raccontare si dice “divaniti”, dalla radice del turco divan – sofà, canapé, ottomana – per alludere a un raccontare disteso, lento, da fare (e ascoltare) in compagnia, come un rito. Chi racconta bene è tenuto in grande considerazione, come una specie di eroe nazionale. Resa famosa da Ivo Andric, premio Nobel per la letteratura nel 1961, entra poi nell’immaginario collettivo per la tragica guerra fratricida del 1992-1995, la Bosnia è per antonomasia la terra dei narratori.

La letteratura bosniaca in quanto tale nasce per contrapposizione alle identità serba e croata con la dissoluzione della ex Iugoslava.

Questo viaggio letterario ha l’intento di condurre i lettori italiani nei luoghi attraverso lo sguardo “letterario” dei suoi scrittori.

 

Il ponte sulla Drina   di Ivo Andrić

Alla confluenza di due mondi quello cristiano e quello musulmano sorge Visegrad, in Bosnia, da sempre città di incontro fra diverse razze, religioni e culture. Ed è qui che nel Cinquecento il visir Mehmed-pascià fece erigere un ponte, diventato un simbolo dell’oppressione perché costruito grazie alla fatica e ai sacrifici di molti cristiani, ma anche una testimonianza della fusione di due diversi mondi. Il ponte è il centro del romanzo di Andric: un grande affresco che va dal Cinquecento alla Prima guerra mondiale e che ha per sfondo una Bosnia romantica, con le sue complesse vicende storiche ma anche con i drammi quotidiani degli uomini che vi abitano. Andric si conferma interprete e commosso cantore di questa terra tormentata.

 

Diario di Zlata   di Zlata Filipović

Zlata Filipovic ha 11 anni quando esplode l’inferno di Sarajevo. Come tante sue coetanee tiene un diario dove registra gli eventi minimi dell’esistenza quotidiana. Ma scoppia la guerra e Zlata cambia in fretta, matura. Il suo mondo è in pezzi, ora vi dominano l’odio cieco, la paura, la disperazione. Al diario, come a un’amica immaginaria di nome Mimmy, consegna la cronaca di giornate profondamente mutate: le notti passate in cantina, l’esplodere delle granate, le raffiche dei cecchini, gli amici uccisi. Zlata scrivendo vuole dar voce “ai tremila bambini morti sotto le bombe, agli invalidi che s’incontrano per le strade privi di un braccio o di una gamba”. E la sua testimonianza diventa simbolo delle sofferenze di un popolo, invocazione di pace.

 

L’arte della guerra zombi   di Aleksandar Hemon

Joshua Levin ha un sogno nel cassetto: vedere una delle sue sceneggiature trasformata in film di successo da qualche influente produttore hollywoodiano. Dopotutto, il suo portatile trabocca di idee luminose, una delle quali potrebbe certo essere notata, prima o poi. La #196 magari – Una rock star completamente fatta sclera durante il concerto, si precipita giú dal palco e si smarrisce in una città di cui non ricorda il nome, ma le cui strade sono affollate dalle sue allucinazioni. Titolo: Cantando sotto acido -, o forse la #142 – Degli alieni travestiti da tassisti rapiscono la fidanzata del protagonista e lui deve trovare il modo di raggiungere un pianeta lontano per salvarla. Titolo: Love Trek. Oppure la piú recente, Guerre zombi, in cui si narrano le avventure del maggiore Klopstock e del suo tentativo di salvare il mondo dall’invasione dei famelici mangiacervelli. In attesa di sfondare, Joshua sbarca il lunario come insegnante di inglese per stranieri e divide il suo tempo fra l’impeccabile fidanzata Kimiko, una psicologa infantile senza debolezze né distrazioni (salvo forse quei giochini erotici nel cassetto), il workshop di scrittura dove giorno dopo giorno siede accanto ad altri sfigati inconcludenti per non imparare come si scrive un copione di successo, e la sua famiglia ebrea confortevolmente opprimente e mediamente infelice. Tutto sommato un’esistenza placida – «tua vita è coperta calda», gli dice un compagno di corso che la guerra l’ha fatta davvero – che tuttavia Joshua, fatalmente ossessionato dalle donne e da Baruch Spinoza, s’impegna alacremente ad attorcigliare. Gli basta tornare a casa una sera e trovare il suo padrone di casa, Stagger, un veterano della prima guerra del Golfo con evidenti turbe post-traumatiche e un’insana passione per i Guns N’ Roses e la katana giapponese, intento a frugare tra la sua biancheria sporca; gli basta inseguire le irresistibili fossette della sua studentessa bosniaca Ana, tralasciando l’effetto collaterale dell’omaccione tatuato che ha per marito, per ritrovarsi su un ottovolante di sesso e violenza, senza nemmeno poter contare sulla tenuta della sua vescica. Mentre nella sua vita tutto implode, fuori esplode quello speciale mix di imbecillità e violenza che ha caratterizzato l’invasione Usa dell’Iraq nel 2003, con le televisioni che vomitano senza sosta immagini dell’operazione Freedom e scampoli di retorica mistico-belligerante del presidente illetterato George W. Bush a sostegno della guerra. E allora, chi la padroneggia meglio quell’arte? I non morti della fantasia di Joshua che, capitolo dopo capitolo, danno corpo alla sceneggiatura, o quelli in carne e ossa che popolano un paese-zombi che si ciba dell’altro senza misura né visione?

 

Radio Wilimowski   di Miljenko Jergović

Quando nel giugno del 1938 un professore in pensione di Cracovia parte alla volta dell’Adriatico con il figlio gravemente malato, sa soltanto che deve raggiungere un misterioso hotel nell’entroterra di Crikvenica, per cercarvi la pace. Sono i giorni del Campionato mondiale di calcio. Tutti sono incollati alla radio: la voce commossa dello speaker racconta la magica partita in cui Ernest Wilimowski diventa leggenda. Mentre la Polonia lotta contro il Brasile, nell’animo del vecchio professore si romperà qualche cosa, e il figlio confesserà il suo sogno più bello. Jergovi? ci racconta l’attimo prima dell’Apocalisse, l’attesa dell’esplosione del mondo e il rapporto struggente fra un padre e un figlio sulle rive della costa adriatica.

 

La storia del soldato che riparò il grammofono   di Saša Stanišić

A volte un cappello e una bacchetta magica regalati dal nonno possono servire a reinventarsi una vita. Quando in Bosnia scoppia improvvisamente la guerra e la sua famiglia decide di scappare in Germania, Aleksander fa tesoro della rivelazione che il nonno gli aveva fatto prima di morire. Il piccolo ora sa di aver ereditato un potere speciale: la magia di inventare storie. E da quel giorno Aleks non smetterà più di raccontarle. È così che nasce questo romanzo pieno di aneddoti, lettere e esperienze di chi, come lui e i suoi genitori, ha scelto la fuga in Germania e di chi, come la nonna o la piccola Asija, è rimasto a fare i conti con le ingiustizie.

 

Me’med, la bandana rossa e il fiocco di neve   di Semezdin Mehmedinovic

Ogni attacco, politico o cardiaco, arriva inaspettatamente, senza una spiegazione, e cambia per sempre la persona coinvolta. Un attacco di cuore all’età di cinquant’anni è un punto di svolta nella vita di un uomo e dei suoi cari. Un romanzo che è anche un viaggio di un padre insieme al figlio lungo le strade degli Stati Uniti: le lunghe giornate passate alla guida, gli incontri, il sentirsi estraneo in quanto emigrato musulmano nel paese che da lì a poco sceglierà Trump come presidente. Un libro sull’amore, sulla memoria e la sua perdita, sui traumi che perseguitano tutti noi. “Me’med, la bandana rossa e il fiocco di neve” ha vinto il premio Mesa Selimovic e il premio Mirko Kovac come miglior romanzo dell’area balcanica.

 

 

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Cristiana Abbate Feb 16, 2021
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Pubblicato da Cristiana Abbate
Veterinaria pentita e mamma convinta.Si ritiene propositiva e per nulla diplomatica .Grande appassionata di viaggi e divoratrice di libri. Malata di shopping e con il conto in banca fisso sul rosso.
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