Üdv mindenkinek! Anno nuovo, viaggio nuovo. Benvenuti in Ungheria, patria del gulasch e di terme.
La letteratura ungherese nasce nel medioevo, ma è solo dopo l’avvento delle popolazioni magiare che acquisisce la sua individualità, sviluppandosi e fiorendo tra il ‘700 e l’ ‘800.
La grande letteratura ungherese non è quella che celebra lo splendore di un’ Ungheria eroica, ma quella che denuncia la miseria ed il buio del destino ungherese. La letteratura magiara è una folta antologia di queste ferite, di questa sensazione di abbandono e di solitudine che induce gli ungheresi a sentirsi, come dice una lirica di Attila Jòzsef, «seduti sull’orlo dell’universo». La letteratura ungherese ha, sì, una certa tendenza nostalgica, ma ancor più è caratterizzata da un tormentato bisogno di osservare le minime cose, prova d’una ricerca che appassiona e dalla quale scaturisce di volta in volta un’idea nuova e, con l’idea nuova, quella preziosa confusione che ti fa credere non soltanto a ciò che vedi, ma anche a ciò che sogni.
Le braci di Sándor Márai
Dopo quarantun anni due uomini, che da giovani sono stati inseparabili, tornano a incontrarsi in un castello ai piedi dei Carpazi. Uno ha passato quei decenni in Estremo Oriente, l’altro non si è mosso dalla sua proprietà. Ma entrambi hanno vissuto in attesa di quel momento. Null’altro contava, per loro. Perché condividono un segreto che possiede una forza singolare. Tutto converge verso un «duello senza spade» – e ben più crudele. Tra loro, nell’ombra, il fantasma di una donna. E il lettore sente la tensione salire, riga dopo riga, fino all’insostenibile.
La porta di Magda Szabó
È un rapporto molto conflittuale, fatto di continue rotture e difficili riconciliazioni, a legare la narratrice a Emerenc Szeredàs, la donna che la aiuta nelle faccende domestiche. La padrona di casa, una scrittrice inadatta ad affrontare i problemi della vita quotidiana, fatica a capire il rigido moralismo di Emerenc, ne subisce le spesso indecifrabili decisioni, non sa cosa pensare dell’alone di mistero che ne circonda l’esistenza e soprattutto la casa, con quella porta che nessuno può varcare. In un crescendo di rivelazioni scopre che le scelte spesso bizzarre e crudeli, ma sempre assolutamente coerenti dell’anziana donna, affondano in un destino segnato dagli avvenimenti più drammatici del Novecento.
Dove sei Mathias? di Ágota Kristóf
In questi due racconti ritornano le ossessioni di Agota Kristof: l’infanzia e la sua terrificante lungimiranza, la disperazione assoluta nei confronti della vita, l’inganno delle parole, la diluizione del tempo, ma anche lo humour e il sogno. Sandor, l’eroe del primo racconto, conduce in quel labirinto d’incertezze che i lettori di Agota Kristof conoscono bene. Lina, l’eroina del secondo racconto – in forma di dialogo – sorprende invece per la sua incantevole leggerezza: è una ragazzina innamorata come da adulta non potrà più esserlo.
Lo sguardo della contessa Hahn – Hahn di Péter Esterházy
Eroe del romanzo è un Viaggiatore di professione, che ha ricevuto da un signore più ricco, il Committente ovvero il Noleggiatore, l’incarico di percorrere il corso del Danubio e di riferire dei propri vagabondaggi. Esterhàzy parte dalle fonti del fiume (e del romanzo) per intraprendere un’avventura che esplora un continente e contemporaneamente rivisita generi letterari e piani narrativi. Intreccia romanzo picaresco e d’avventura, libro di viaggi e reportage, erudizione e aneddoto, divagazione filosofica e Bildungsroman, per contaminarli in una parodia onnivora che gioca infaticabilmente con un cinismo curioso e divertito. crisi, l’altra (Katherine Mansfield e Middleton Murry) non ci riuscirà.
Ti lascio dormire di Edith Bruck
Ti lascio dormire è una lunghissima, commovente lettera d’amore: dal giorno della perdita del marito Nelo Risi, Edith Bruck gli scrive, per raccontare di nuovo a sé e a lui la storia della loro vita e lo smarrimento che la sua scomparsa le ha provocato, per continuare a sentirlo vicino nello scorrere dei giorni. In queste pagine, dense e struggenti, l’autrice ripercorre i piccoli e grandi aneddoti, i litigi, le poesie, riscoprendo – nelle pieghe del suo passato doloroso segnato da Auschwitz e dalla povertà – le ragioni che hanno fatto nascere un sentimento tanto grande, durato oltre sessant’anni. Nelle parole di Edith rivivono i gesti che lei e Nelo hanno compiuto assieme, le loro scelte e la loro identità: il rapporto con la fama e il denaro, la politica e l’impegno sociale di entrambi, i viaggi, la casa, il cinema, i libri, le relazioni con la famiglia e gli amici – Carlo Levi, Carlo Bo, Elio Vittorini tra gli altri. Attraverso il ritratto limpido di un marito e di una moglie che, benché radicalmente diversi, si sono scoperti indispensabili, prende forma un energico slancio verso la letteratura, uno slancio salvifico: Edith Bruck, scrittrice raffinata e acuta, si affida alla scrittura come resistenza alla perdita, cura e tensione al futuro, consegnando la storia di un amore alla sua eternità.
I ragazzi della via Pál di Ferenc Molnár
Accanto al mitico Ottavo Distretto di Budapest, tra le viuzze strette che lambiscono il vecchio quartiere ebraico, c’e ancora la piccola via Pal: che fu teatro, nella fantasia di Molnar, della più memorabile battaglia tra ragazzini che la letteratura abbia mai raccontato. I ragazzi di via Pal è infatti la lotta tra due gruppi di ragazzi per il predominio su un terreno libero per i giochi, attorno a una segheria. Due “eserciti” composti soltanto da generali e ufficiali. Un solo soldato semplice: Erno Nemeczek, biondo e mingherlino, di povera famiglia, che morirà di polmonite per i bagni nel laghetto dell’Orto Botanico, a cui è stato costretto. Una storia malinconica e poetica, avvincente, che come tutti i grandi libri rimane un classico per i lettori di ogni età.
Essere senza destino di Imre Kertész
“Non esiste assurdità che non possa essere vissuta con naturalezza e sul mio cammino, lo so fin d’ora, la felicità mi aspetta come una trappola inevitabile. Perché persino là, accanto ai camini, nell’intervallo tra i tormenti c’era qualcosa che assomigliava alla felicità. Tutti mi chiedono sempre dei mali, degli ‘orrori’: sebbene per me, forse, proprio questa sia l’esperienza più memorabile. Sì, è di questo, della felicità dei campi di concentramento che dovrei parlare loro, la prossima volta che me lo chiederanno”.