E voi volevate che non vi recensivo anche “JOKER”? Vana speranza, laddove ho visto e sentito più persone parlare di questo film che della prossima glaciazione o dell’ennesima stretta sulle pensioni. E, ciò, a tacer di una probabile impennata nelle vendite dei negozi di trucchi e maquillage avvenuta grazie all’attrazione mediatica che questo film ha creato.
Premetto. In questo film ho apprezzato soprattutto una cosa, e questa è, chiaramente, farina del sacco di Todd Phillips, che pone saggiamente l’accento sulle capacità interpretative di uno dei veri fuoriclasse in circolazione, quel tipetto alquanto inquietante di Joaquin Phoenix, che ha saputo ritagliarsi, con merito, un posto nell’Olimpo dei più grandi, anche a fronte del fatto di non essere né bello né armoniosamente proporzionato nelle fattezze fisiche, anzi. Ma è proprio in questo che risiede la sua singolare grandezza.
Premetto altresì che non dovete pensare a trame articolate alla “Inception” di LeoDi Caprio (film che in alcuni frangenti avrà fatto arrotolare le meningi al suo stesso regista). Anzi, il focus è tutto sull’analisi del personaggio, saviamente ottenuta scindendo questo e le sue vicissitudini dal suo dualismo con il più celebre pipistrello della storia, rispetto al quale questa pellicola si tiene con arguzia nel terreno dei prequel.
Chi è Joker? Si chiama Arthur Fleck, e vive con l’anziana madre in un palazzaccio brutto e in rovina. Come vive? Beh, ha le sue difficoltà ad arrivare a fine mese con operazioni promozionali effettuate on the road travestito da clown; vive questa condizione nella mestizia della condizione transitoria che vuole elevarsi a una speranza di evoluzione, laddove, nel cuore, la sua grande aspettativa è diventare un comico affermato.
Arthur non se la passa bene, specie dal punto di vista delle pubbliche relazioni, perché gran parte dell’umanità è cattiva ed egoista, e il film di Phillips riesce a delinearne un quadro tanto sintetico quanto caratterizzato da una raggelante attualità. Il signor Fleck subisce nel quotidiano vari soprusi, ed è scarsamente considerato sul luogo di lavoro, passando per il patimento di disgustosi atti di bullismo, per finire all’essere canzonato da tantissimi, specie in ragione della circostanza che la vita gli ha regalato un altro “tratto saliente”: un tic nervoso che lo porta a risate incontrollate, cacofoniche e a dir poco inquietanti, ponendo un chiaro e insormontabile argine rispetto a una qualsivoglia relazione sociale.
Solo che a un certo punto un lucchetto si sblocca, e a fronte dell’ennesimo atto di bullismo collettivo, tira fuori una pistola fornitagli da un collega e si regala un “liberatorio” atto di giustizia sommaria che la stampa non si fa di certo scappare, con l’ovvio interesse della polizia di Gotham City che dà la caccia al clown killer; al contempo, tuttavia, la popolazione lo elegge a eroe metropolitano, simbolo della rivolta degli oppressi contro l’arroganza dei ricchi.
Il Fleck di Todd Phillips, portatore insano per se stesso di una conclamata malattia mentale, inizia a elaborare un concetto improntato alla graduale applicazione della più lucida follia: il suo essere emarginato, la sua consapevolezza di essere ritenuto come un rifiuto dalla società, può, paradossalmente, diventare la sua “forza”. La forza di un uomo libero di agire secondo un lucido piano di vendetta così come, fino a quel momento, altri lo avevano lasciato libero di soffrire le pene dell’inferno, in una città allo sbando, sommersa dalla spazzatura fisica e metaforica.
Il film di Todd Phillips ripercorre dunque, dai primordi, l’avvento e la discesa in campo di un mostro partorito dalla pochezza e dall’egoismo della società stessa, foraggiato nel suo spirito alieno e di assassino quasi incolpevole da tonnellate di illusioni, delusioni, angherie, malesseri fisici e psichici, il tutto in un’ambientazione ricollegabile ai primi anni ’80. Oltre che, da un certo momento in poi, auto-autorizzatosi al cambio radicale delle proprie regole, secondo un nuovo copione che adatterà secondo le sue rinnovate “esigenze di scena”, compiendo una evoluzione mimica e trasformistica che è tutta da seguire, specie quando si produce in movenze da mimo o da ballerino consumato mentre scende una normalissima scalinata urbana.
La storia di Joker colma i vuoti strategici lasciati nel passato del personaggio, mescolando le indicazioni di Alan Moore e Brian Bolland con la cronaca vera americana e con l’omaggio al cinema coevo di Scorsese, ”Re per una notte” e ”Taxi Driver” in particolare.
Meccanismo azzeccato e incalzante. Scene semplici, sequenze facili da seguire, giusta dose di suspence saggiamente appollaiata fra i singoli fotogrammi, raggiungendo l’apice durante il dialogo in diretta televisiva tra Joker e Rober “Murray” De Niro. Un Joker in fase embrionale, ma già degno d’essere temuto, ovvio antecedente di quel se stesso che approderà nel ”The Dark Knight” di Christopher Nolan.
Il film, che, in fondo, non è supportato nemmeno da questa gran trama; ruota TUTTO intorno a Joaquin Phoenix, intenzionalmente lasciato solo nel fecondo territorio di mezzo di chi ha intessuto le sequenze del film. Un crescendo, che passa attraverso le sembianze dell’umile e compassato Arthur Fleck, fino a scatenarsi nel prossimo arcinemico di Batman.
Per coloro che non l’avessero visto, si, posso affermare che ne vale la pena. E che vale la pena soffermarsi sulle risate disperate di quel clown che il mondo ha disprezzato, e la cui stessa vigliaccheria porta a temerlo solo quando è ormai diventato un uomo senza controllo, violento, spossato, con poca cognizione del male che può arrecare al prossimo nella sua nuova veste.
Un film che fotografa bene quello strano concetto di rispetto che risiede nell’umanità: il rispetto per qualcuno che matura solo come sensazione figlia della paura per questi.
Ovvio che l’invito a vedere questa pellicola non vuole essere invito a “Jokerizzarsi”.
Anzi, la cosa migliore è uscire dalla sala con in dote un vagone di saggi consigli per tutti coloro che, loro malgrado, rischiano di aggiungersi, per colpa di questa strana società, all’elenco dei possibili “Joker di quartiere”.
E se non se ne abbia a male Spiderman. Sono certo capirà.