La Basilica di San Domenico Maggiore sorge in parte sull’area della chiesa di S. Michele Arcangelo a Morfisa, eretta probabilmente prima del secolo X. L’edificio era collegato a un ospedale. Vi si può accedere anche dalla Piazza San Domenico Maggiore servendosi dell’ampia scalinata in piperno. Nel 1255 papa Alessandro IV, che, consacrato a Napoli il 20 dicembre dell’anno precedente, si trovava ancora in città, dedicò la chiesa a San Domenico. Nel 1283 Carlo II d ’Angiò – allora ancora principe di Salerno e vicario del Regno – mosso dal desiderio di abbellire la città e far cosa grata ai domenicani, volle ingrandire la chiesa, senza però distruggere l’antica. La prima pietra, benedetta dal cardinale Gerardo Bianco di Parma, fu posta dallo stesso principe il 6 gennaio 1283. Ma il 5 giugno dell’anno seguente Carlo fu catturato dagli Aragonesi nel golfo di Napoli e i lavori o furono sospesi o andarono molto a rilento. Provato dalle sofferenze, l’Angiò, secondo alcuni, avrebbe fatto voto a S. Maria Maddalena, la santa della Provenza, di dedicarle la nuova chiesa, se fosse scampato ai pericoli. Morto il padre e riconosciuto re, Carlo II, dopo la liberazione e il ritorno a Napoli nel 1289, rimise mano alla costruzione chiamandovi a lavorare i maestri francesi Pierre de Chaul e Pierre d’Angicourt. La chiesa, i cui lavori si protrarranno fino al 1324, fu dedicata a S. Maria Maddalena, ma i napoletani continuarono a chiamarla chiesa di S. Domenico. Con l’ascesa al trono nel 1442 di Alfonso I il Magnanimo il complesso architettonico venne arricchito con l’apertura, alle spalle dell’abside, dell’attuale Piazza San Domenico Maggiore, ricavata dall’abbattimento di alcune costruzioni. Fu l’Aragonese, inoltre, a far eseguire la grande scalinata in piperno. Tra il 1446 e il 1506 terremoti e incendi danneggiarono gravemente l’edificio che fu soggetto a vari restauri e rifacimenti e la chiesa perse la sua linea primitiva. Nel 1670 il priore del convento Tommaso Ruffo, dei duchi di Bagnara, oltre a far ricostruire l’annesso convento, curò il rifacimento della chiesa tentando di trasformarla da gotica in barocca. Nel corso di questi lavori molte iscrizioni, lastre tombali, dipinti ecc. andarono dispersi o distrutti. Altri gravi danni subirono la chiesa e il convento durante il Decennio francese (1806-1815), con la soppressione delle corporazioni religiose. Nel 1849 il priore Tommaso Michele Salzano decise un altro radicale restauro della chiesa. In seguito all’ultimo conflitto mondiale (1939-1945), durante il quale la basilica subì notevoli danni, particolarmente nella zona del transetto, sono stati eseguiti singoli lavori di restauro. Nel 1974, settimo centenario della morte di San Tommaso, sono stati eseguiti il restauro delle mura perimetrali della basilica (ciò che ha portato alla riscoperta del tufo originario), quello della sala San Tommaso (con il relativo affresco), e quello dei locali prospicienti il cortile. Negli anni successivi sono stati completati il restauro e la sistemazione di parte della biblioteca (con sala di lettura).
Il Crocifisso miracoloso che parlò a San Tommaso D’Aquino
Tommaso d’Aquino, il Doctor Angelicus pilastro della teologia e della filosofia della Chiesa cattolica, visse e insegnò proprio nel Complesso di San Domenico Maggiore tra il 1272 e il 1274. La cella in cui il frate domenicano svolse i suoi studi liturgici e ricevette i suoi studenti, è tutt’oggi visitabile nel primo piano del convento. Il suo ingresso monumentale è costituito da un portale in marmi mischi sormontato da un mezzobusto personificante il santo, opera di Matteo Bottiglieri. All’interno, sopra l’altare è posto l’originale dipinto duecentesco della Crocefissione, la cui copia è presente nel Cappellone del Crocifisso della chiesa stessa. Secondo la testimonianza del sacrestano, il crocifisso impresso sulla tavola pittorica si sarebbe miracolosamente rivolto a San Tommaso dicendogli: «Tommaso tu hai scritto bene di me. Che ricompensa vuoi?». Il santo, avvolto da un raggio di luce, avrebbe risposto: «Nient’altro che te, Signore».
La leggenda della Madonna di Zi’ Andrea
La prima cappella della navata sinistra della Chiesa di San Domenico Maggiore è la cappella di Zi’ Andrea. In essa è collocata una copia della tela caravaggesca della Flagellazione di Cristo, in sostituzione del dipinto originale, esposto oggi a Capodimonte. Proprio in sostituzione dell’opera del Merisi, nel 1675 fu posta sull’altare un’opera lignea conosciuta come Madonna di Zi’ Andrea, che poi ha dato il nome alla cappella. Essa fu infatti commissionata dal frate Andrea d’Auria di Sanseverino dell’Ordine dei frati Domenicani, benvoluto dai fedeli al punto tale da essere chiamato “Zio Andrea”. La leggenda vuole che il frate facesse realizzare questa statua su richiesta di una dama che, una volta terminata l’opera, la rifiutò in quanto non soddisfatta del volto della Vergine. Il frate decise di tenere per sé la statua e si narra che il mattino seguente la trovò con un volto più grazioso di quello realizzato dall’artista.
CURIOSITA’
La Gioconda, nota anche come Monna Lisa, è un dipinto a olio su tavola di pioppo realizzato da Leonardo da Vinci (77 × 53 cm e 13 mm di spessore), databile al 1503-1506 circa e conservato nel Museo del Louvre di Parigi e Il Ritratto di Dona Isabel de Requesens di Raffaello e aiuti, databile al 1518 circa e conservato sempre nel Museo del Louvre di Parigi.
Secondo voi c’è una somiglianza??