Alessandro Rak torna nel mondo dell’animazione, accompagnato questa volta da Ivan Cappiello, Marino Guarnieri e Dario Sansone, il cantante dei Foja. Dopo il successo de L’arte della felicità (2013), premiato come miglior film d’animazione agli European Film Awards del 2014, il regista e fumettista napoletano ci dona un secondo gioiello cinematografico: Gatta Cenerentola. Il film è stato proiettato nella sezione Orizzonti del 74esimo Festival di Venezia dove ha ricevuto una standing ovation e il plauso della critica internazionale, attualmente è 10° in classifica al box office in Italia.
Nelle sale, a precedere Gatta Cenerentola, vieneproiettato il raffinato cortometraggio di Francesco Filippini, un giovane artista napoletano, intitolato Simposio suino in re minore. Il corto dai toni dolci e fiabeschi, prodotto come la Gatta dalla Mad Factory, sarà un piacevole preludio al film.
Il film è nipote dell’omonima fiaba dello scrittore partenopeo Giambattista Basile e figlio della sua versione teatrale scritta da De Simone nel ’76. La fiaba è contenuta nella celebre libro Lo cunto de li cunti (1634-36), già ispiratore de Il racconto dei racconti (2015) di Matteo Garrone, vincitore di ben sette premi ai David di Donatello dello stesso anno. Senza prendere in considerazione le svariate versioni di questa antica fiaba popolare, già solo l’eredità nostrana è un peso non indifferente sulle spalle dei registi, che si è fatto sentire nella sfida che è stata la realizzazione del film. Ad aumentare ulteriormente la difficoltà c’è un budget piuttosto contenuto di 1,2m. Una sfida dalla quale il quartetto di registi è uscito glorioso vincitore.
Zezolla della versione di De Simone diventa qui la diciassettenne Mia Basile, una Cenerentola atipica, con capelli e vestiti neri, calze di colori diversi, un marsupio in vita e cuffie perennemente al collo. Le cuffie penso siano uno dei tanti simboli moderni della solitudine, che la nostra eroina conosce fin troppo bene, venendo maltrattata e isolata dalla matrigna Angelica Carannante e dalle sue sei figlie ( in realtà cinque figlie e un figlio). Padre della protagonista è lo scienziato e magnate Vittorio Basile (Vittorio come Vittorio De Sica, del quale prende le sembianze e Basile come il già menzionato autore), proprietario della Megaride, una gigante nave che registra tutto ciò che accade all’interno di essa per poi riprodurlo sotto forma di ologrammi. Ologrammi che sono protagonisti, quasi strumenti del fato o esseri dotati di volontà propria, che appaiono in continuazione in ogni angolo della nave, ricordando ai personaggi e agli spettatori il peso del passato. Mia nel corso del film si ritroverà a vivere una trasformazione da vittima degli eventi (intesi come trame architettate dalla nemesi di questo film, Salvatore Lo Giusto detto ‘O Rre) a eroina moderna, fiera e indipendente: la scarpetta ci sarà, ma non verrà indossata. Altro protagonista è Primo Gemito, poliziotto incorruttibile e scorta dei Basile che aiuterà Mia a spodestare Lo Giusto.
E esattamente come Mia è un’eroina sdoganata dal cliché dell’eterno amore del principe, Gatta Cenerentola è una fiaba che si adagia in abiti più noir, dalla trama dove troviamo complotti, omicidi, droghe e altri elementi decisamente poco fiabeschi. Il male fa da dominatore assoluto per una buona parte del film e annichilisce qualsiasi forza benigna e la trama si conclude in un climax degno di un ottimo film thriller. La città che fa da cornice a questo film è una Napoli cupa e decadente, non stereotipata, che oscilla tra il passato e il futuro in un immaginario anacronistico, dove mappe interattive tridimensionali si introducono negli anni ’50-’60. La città, che visivamente è quasi assente, si ricrea protagonista con la presenza del dialetto (sottotitolato) e del mare e con la napoletanità dei personaggi, ognuno vivido e riconducibile al proprio archetipo. Lo Giusto è l’incarnazione di molti dei mali che affliggono questa città, un po’ sciupafemmene e un po’ cammurrista; Luigi, sorellastra transessuale, si rifà alla figura napoletana classica del femminiello; Barbara, la meno attraente delle sorellastre, è lo stereotipo comico della vrenzola e insieme a Luigi crea un duo comico scoppiettante.
La colonna sonora è curatissima e il ruolo della musica nel film ascende a portatore di verità supremo e seconda voce narrante del film in un gioco metanarrativo. Ogni qualvolta i personaggi canteranno, non nasconderanno mai nei propri testi la natura loro e delle loro azioni, quasi come se davanti alla grazia delle note fossero incapaci di mentire. Tra le musiche possiamo trovare una canzone composta per l’occasione dai Foja, la collaborazione di Enzo Gragnaniello e un intermezzo autoironico dove Lo Giusto interpreta Napule dei Virtuosi di San Martino. La musica oltre a non far mancare l’aspetto più musical dell’opera è anche fil rouge.
Unica pecca che mi sento in dovere di evidenziare è la grafica. La resa degli spazi e dell’ambiente circostante è ottimale, come la cura del dettaglio. Ma purtroppo le animazioni e le espressioni dei personaggi mi ricordano troppo The Sims.
Però dopo i primi cinque minuti ci si abitua e ne vale totalmente la pena.