Più di 90 giorni con una guerra nel cuore di Europa che, oltre a generare un esodo spaventoso di rifugiati, migliaia di vittime tra russi e ucraini e città ucraine completamente devastate da bombardamenti e assedi, sta provocando una crisi umanitaria alimentare senza precedenti che investe tutto il mondo.
L’Ucraina è il granaio di Europa e non solo.
Ci sono 22 milioni di tonnellate di cereali fermi nei silos, bloccati in Ucraina che rischiano di deperire perché, causa guerra, non possono raggiungere gli Stati in concomitanza alle ostilità russe e alla ostinazione a non trovare un accordo con il resto del mondo che dipende da queste forniture.
L’agricoltura è in ginocchio e anche gli allevamenti che stanno vivendo enormi difficoltà per andare avanti in assenza del quantitativo necessario ad alimentare i loro animali sono in crisi profonda con ripercussioni inevitabili sulla vita di tutti.
Il paradosso sta che nelle scelte economiche, strategiche e dettate, come si sa, dagli interessi e dai guadagni massimi possibili, l’Italia che ha avuto sempre un’autosufficienza in materia di grano, ha dovuto dismettere le proprie coltivazioni, rinunciando al proprio sostentamento perché il prezzo dell’Ucraina e i quantitativi offerti sono stati altamente competitivi e concorrenziali battendo le produzioni di tutti gli altri Stati.
Ed ecco che la globalizzazione ha generato il circolo vizioso della dipendenza – anzichè dell’autosufficienza – nei confronti di un Paese, peraltro, che prega per entrare in Europa, ma se tutto va bene aspetterà degli anni per entrarvi, e che avrebbe di che sfamare il mondo e gli allevamenti, ma è bloccato dalla conquista del Donbass e dalla dominanza russa nel porto di Odessa, nonchè dalla chiusura degli scali sul Mar Nero, che impedisce qualsiasi fuoriuscita delle materie prime indispensabili al sostentamento del pianeta.
Diverse le pressioni e le ricerche di soluzioni, anche tramite le conversazioni di Macron, Schulz e Draghi, per convincere Putin dell’importanza di rinvenire un accordo o anche un compromesso per la distribuzione del grano nel mondo.
L’Italia, nello specifico, non ha una dipendenza estrema di questo tipo di materie prime pari al 2,5% per il grano duro, al 5% per il grano tenero e al 15% per il mais; eppure, nonostante ciò, gli aumenti dei prodotti caseari, dei latticini e del pane sono lievitati fin da subito e ogni settimana si avverte un ulteriore contraccolpo economico che diviene inevitabilmente un peso per le famiglie che a lungo andare comporta conseguenze rilevanti, quantificato in circa il 30% in così breve tempo.
Si temono all’orizzonte, recessione, inflazione elevatissima, carestie nelle zone del mondo particolarmente dipendenti dall’Ucraina (si calcolano circa 38 paesi più esposti tra cui a rischio severo Yemen, Sudan, Nigeria e Etiopia), con un calcolo fornito dal World Food Programme secondo cui, se il conflitto dovesse continuare, a fine anno ci sarà un aumento del 20% di persone nel mondo che non avranno cibo a sufficienza, come causa dell’invasione russa e dei porti ucraini bloccati.
Il governo dell’Ue è al lavoro da settimane per pianificare una strategia europea con lo scopo di salvare il grano ucraino, mettendo in campo diverse ipotesi, quali l’aumento dei mezzi a disposizione ovvero la maggiore flessibilità alle dogane, riconoscere priorità ai treni provenienti dall’Ucraina sulla rete europea fino all’accesso ai depositi Ue per i cereali ucraini.
Tutto al fine di sfamare il mondo e, nello stesso tempo, a salvaguardare la scelta europea di essersi affidata per il suo fabbisogno interno alla produzione ucraina in via quasi totalmente esclusiva.
Gli italiani continuano a manifestare nei sondaggi la loro contrarietà all’invio di armi e la paura delle conseguenze sulla propria economia domestica, completamente travolta dall’aumento inarrestabile dei consumi energetici, luce e gas in primis.
Eppure, la politica sembra sorda alla posizione degli italiani.
Si continuano ad inviare armi “difensive” che poi sembra una presa in giro perché le armi sono sempre offensive e generano morte e distruzione comunque anche se usate a difesa…legittima che sia la scelta di appoggiare la posizione di Zelensky e la fragilità dell’Ucraina che va difesa e sostenuta perchè comunque resta la vittima dell’attacco russo con una lesione evidente alla propria autodeterminazione e come tale da supportare, resta evidente il fallimento totale di ogni forma di mediazione nazionale, internazionale, europea tra russi e ucraini in modo da trovare una qualsivoglia posizione di compromesso per garantire un cessate il fuoco immediato che resta la priorità assoluta per fermare la sofferenza delle vittime civili innocenti di questa guerra.
Putin sembra refrattario alla soluzione bonaria della guerra; le sue mire espansionistiche sul mar Nero celate dalla scelta di una operazione speciale militare di liberazione delle forze neonaziste ucraine, e le sue posizioni estreme anche nei confronti del mondo occidentale non sembrano far sperare in nulla di buono almeno nel breve.
La delusione più grande resta la politica internazionale di questi anni operata soprattutto dai più importanti e rappresentativi del mondo occidentale, in primis gli Stati Uniti che sembrano inasprire i toni anzichè sedarli rendendo sempre più complicato la costruzione di un sentiero pacifico di tregua con la fine della guerra e che si presenta nel complesso: fragile, inconsistente, non attenta a ciò che stava succedendo nelle relazioni tra gli Stati del mondo, distratta, e forse anche strafottente, chiusa nella propria torre di cristallo convinta che le ragioni, quelle giuste, siano tutte dalla parte del mondo occidentale, quando, invece, in questo conflitto emerge a tutto tondo la defaillance di una politica sorda, cieca e autoreferenziale che fallisce l’obiettivo pacifico e pacifista più importante per salvare il pianeta non solo dal rischio della terza guerra mondiale, altresì per salvaguardare miliardi di vittime innocenti di fame e carestie per le scelte scellerate di pochi al potere, che dimenticano sempre e sempre di più, i bisogni dei più piccoli, dei cittadini semplici che vivono la vita normale senza ricchezze, privilegi nè fortune.