La ruota delle meraviglie è il quarantottesimo film di Woody Allen, che si va ad aggiungere al suo repertorio drammatico, sulle linee di Blue Jasmine (2013). Scritto e diretto da lui, il film è prova dell’instancabile e irrefrenabile creatività dell’ormai ottuagenario regista che, nonostante l’avanza età, continua a benedirci ogni anno con una nuova opera. E la sua imparagonabile abilità nel proiettare sullo schermo persone e non personaggi rende ogni suo film estremamente godibile nel peggiore dei casi.
Il film si svolge negli anni ’50 in un parco divertimenti a Coney Island, un quartiere di NY, dove furono girate anche alcune scene di Io e Annie. Il titolo richiama la Wonder Wheel, l’iconica ruota panoramica del suddetto parco divertimenti, che avrà davvero poco a che fare con il resto del film. La protagonista è Ginny (Kate Winslet), un’ex-attrice emotivamente instabile, sposata con Humpty (Jim Belushi), che lavora alle giostre, con il quale non riesce a trovare felicità. Questa però sembra arrivare quando inizia una relazione con il bagnino Mickey (Justin Timberlake), molto più giovane di lei. Questa illusoria felicità verrà minacciata dalla ricomparsa della figlia di Humpty, Carolina (Juno Temple) che poserà anche lei gli occhi sull’affascinante bagnino.
Il film omaggia espressamente la tragedia greca e il teatro: lo vediamo nei personaggi: Mickey aspira a diventare un drammaturgo e Ginny è un ex-attrice di teatro e alla fine tiene un vero e proprio monologo teatrale; si nota nel linguaggio di Mickey quando narra, che richiama il linguaggio delle sceneggiature teatrali; anche la struttura della trama può essere un omaggio, una elaborazione personale della tragedia classica: una storia che nasce dall’infelicità, per un cinico come Allen, non può concludersi nella felicità, come sottolineato da Aristotele. Deve bensì dimostrare la natura illusoria della felicità, per concludersi in un amaro compromesso con la realtà.
Un film che però, nonostante la bella trama e le straordinarie interpretazioni degli attori in particolare, sembra mancare il punto. Kate Winslet è splendida e riesce splendidamente a fare suoi gli abiti di Ginny dandole forma e Jim Belushi dà prova delle sue straordinarie capacità attoriali, riuscendo a staccarsi da Jim de La vita secondo Jim e dai soliti ruoli comici che stavano oscurando l’attore. Inoltre bisogna sottolineare il ritorno scoppiettante di Tony Sirico e Steve Schirripa nel ruolo di gangster italoamericani, ruolo in cui sono maestri, dopo anni di lavoro in i Soprano. Il film manca però dell’acutezza del migliore Allen e spesso l’intellettualità dei protagonisti risulta pesante e fuori luogo.
La musica, da sempre grande accompagnatrice dei suoi film (è infatti nota la sua passione per il jazz e la sua carriera come clarinettista), sembra in questo film dare spazio alla fotografia di Vittorio Storaro, che ci dona una delle sue performance più interessanti, dalle scene notturne alla nuvolosità dell’estate newyorkese. Si assiste a giochi di luce di straordinari che seguono la narrazione: Storaro fa cambiare i colori in base alla componente emotiva del discorso, evidenziando la lunaticità di Ginny, saltando dal più intenso arancione delle lampadine al bluastro del cielo notturno e dando ritmo ai discorsi, al tempo e al film tutto.